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Parenti serpenti

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Parenti serpenti

di lamettrie
9 stelle

Un gran bel film, benché sia uno di quelli che maggiormente mettono alla berlina, e correttamente, l’italiano, qui visto come categoria sociologica, la quale ci riguarda molto da vicino, ovviamente. Per questo è un film da far vedere.

I componenti della famiglia si mostrano in tutta la loro bontà, apprezzabilità, ma anche nella loro meschinità e infelicità. È vero che i quattro fratelli si stringono attorno alla madre, che si vogliono per lo più bene a vicenda; ma è pur vero che, appena vengono messi dalle circostanze l’uno contro l’altro, si scannano a vicenda. E poi finiscono con l’uccidere volontariamente i genitori, come soluzione alle loro divergenze trovata dopo pochi minuti. Alla scelta degli sceneggiatori, per il resto eccellenti, contesto solo questo: l’eccessivo cinismo del finale, troppo nella realtà, ma soprattutto troppo alla luce di quello che si è visto prima, quando i figli non apparivano comunque affatto dei degenerati di quel tipo. Se i figli uccidono così i genitori, è un caso da Pietro Maso, che ci si ricorda per vent’anni; ma non può essere il caso di quei figli, che lì tutto sommato sono dei bonaccioni, per quanto anche mediocri e spesso ridicoli.

L’altro punto che contesto è l’assenza della ribellione quando si scopre la porno- tresca tra i cognati: quella trovata, peraltro così intelligente, sarebbe stata materia per ben altri esiti della vicenda. Invece il fratello e la sorella cornuti fondamentalmente soprassiedono, in modo francamente poco verosimile.

Detti questi due grossi difetti, questo resta un film ottimo, e pienamente istruttivo riguardo all’Italia. La quale è piena di questi individui: oggettivamente brave persone, cui si può in apparenza rimproverare poco, per la sincera dedizione vicendevole  e l’amore verso i genitori, tutte cose in apparenza reali. Ma è un’Italia piena anche di ignoranti, superstiziosi, limitati, mediocri: ma, pur nonostante ciò, tutti costoro hanno una loro stabilità professionale ed economica. Il film è stato girato nel ’91, quindi alla fine dell’epoca d’oro dell’economia tricolore (che peraltro era solo un regalo degli Usa per non farci diventare comunisti), appena prima di un baratro che ci ha attanagliato da 25 anni (e purtroppo ben prima ancora della crisi tragica che dura dal 2008). In quel momento non si vedevano ancora gli esiti negativi di tale oscenità italiana: tutti potevano mangiare bene, potevano apparentemente guadagnare a sé e ai figli un presente e un futuro economicamente solido e vantaggioso.

Il ricorso alla tradizione è un ottimo espediente nel film: il natale, pranzi, cene, regali, messe di mezzanotte… tutto un ciarpame (tanto straripa la finzione che dovrebbe tenerlo in piedi) utile a nascondere la realtà. Del resto l’italiano della maggioranza è stato ed è (e forse sarà, pur non sperandolo), così: attaccato a quattro riti che non hanno alcun senso, in senso lato. Ma tale italiano ha sempre chiesto a sé e agli altri questo: la possibilità di non dover esaminare mai se tali bugie della tradizione erano davvero delle bugie oppure no. La nullità di quei festeggiamenti, lo squallore di tutto ciò che c’è dietro, non ha mai preoccupato gli intervenuti: proprio perché nella ignorante condotta media degli italiani è stata approvata (ma che dico, incoraggiata!) proprio la fuga da ogni riflessione serie e culturalmente competente, sulla validità di tali riti. Se tali riti non hanno senso, pazienza: l’importante è che vadano avanti, perché danno apparenti sicurezze, che, per quanto false, permettono di inscrivere la propria vita all’interno di un contesto socialmente accettabile, apparentemente pieno di senso.

Ma il merito del film, e della grandissima commedia all’italiana che Monicelli qui negli anni ’90 continua a esercitare con pieno merito, è questo: mostrare che tutto questo apparato di fasullità, che il ricorso ignorante alla tradizione permette, è appunto destinato a mostrare la corda, a mostrarsi fallimentare: i protagonisti, chi più chi meno, sono tutti dediti a delle dipendenze, e sono anche  tutti destinati a crescere male i propri figli. Sono tutti destinati ad ammettere di stare male, a tanti livelli della propria vita. Lo squallore di quella vita quotidiana è troppo palese perché un occhio attento possa non vederlo. Qui non si dice che, nel migliore dei casi (l’affetto reciproco, che c’è, e tante altre cose) per forza bisogna finire male: no. Si dice però che, senza adeguate contromisure culturali e soprattutto etiche, contromisure che inevitabilmente vanno contro le logiche dominanti e comode per il  momento, senza tali contromisure liberamente scelte è molto difficile sfuggire a tale tristezza.

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