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I figli della violenza

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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La recensione su I figli della violenza

di Thrombeldimbar
9 stelle

 

In determinati film come "I Figli della Violenza" il cinema del grande regista spagnolo naturalizzato messicano Luis Buñuel, concretizza il nero incubo, che non concede redenzione alcuna, di una vita vissuta in strada da un'umanità giovanile di sicura esistenza, (in qualunque spazio temporale), nelle periferie più degradate da sempre esistite.

Città del Messico. I figli immaginati dalla creativa visionaria mente del maestro, sono poco più che adolescenti disagiati vittime di un destino infausto. Un destino che ha fatto sconti, e continua ancora oggi a farne solo a chi è più dotato e fortunato caparbio, armato di una buona forza di volontà.

Il giovane orfano Jaibo (Roberto Cobo) e i suoi compagni di scorribande però non appartengono a questa categoria... La vita nella grande città messicana degli anni cinquanta non è facile; una buona istruzione accompagnata da un amore familiare materno e paterno sono realtà quasi inesistenti nella miseria più nera di sempre. Il lavoro scarseggia e ogni giorno la fame stringe le sue grosse fauci intorno allo stomaco e fa male.

È in queste particolari circostanze che si sviluppano vite sregolate di bande di giovani criminali disposte anche ad uccidere per soddisfare le proprie vendette. La propaganda de "I Figli della Violenza" non vuole puntare il dito accusatorio; Buñuel nei suoi film non si è mai rivolto ad alcuna denuncia sociale. I suoi film, spesso impregnati di stravaganti visioni oniriche e ciniche realtà rappresentano il cinema più vero e sentito che abbia mai apprezzato.

Nel Caos di ogni vita quotidiana appartenente ad ogni essere vivente difatti dimora il disordine, un disordine che può essere più o meno controllato ma sempre persistente anche in minima parte. Quindi è particolarmente ovvia e reale l'esistenza di un povero vecchio cieco pedofilo approfittatore, che si guadagna da vivere facendo l'elemosina suonando uno sgangherato tamburo ed esercitando le sue arti magiche curative al servizio di donne gravemente malate per un bicchiere di latte d'asina.

In tal caso l'ignoranza dilaga in quella realtà distorta... Pedro (Alfonso Mejìa) si dimostra ancora più sfortunato del vecchio, è un giovane ragazzino malinconico, la vita non gli ha mai riservato particolari gioie e ad aggravare la situazione ci sono gli incubi e le amicizie sbagliate...

Questo è un film, che nonostante il premio ricevuto alla miglior regia al Festival di Cannes del 1951, suscitò all'epoca non poche critiche negative, il finale fu cambiato all'uscita nelle sale con grande disapprovazione del regista stesso, questo perchè conservatrice di quelle verità incontestabili che, ahimè, trovano spazio anche nella realtà della società odierna e futura. Mi sono dunque visto un bel film di "patrimonio" cinematografico che può piacere o pure no, ma che, in ogni caso, merita assolutamente una visione se si è veramente degli appassionati della meravigliosa settima arte.

 

9/10

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