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I figli della violenza

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I figli della violenza

di obyone
8 stelle

 

Abbandonata la Spagna franchista, dopo una breve parentesi a New York, Luis Buñuel si accasò in Messico dove trovò un ambiente culturale affine alle proprie esigenze artistiche. Fu nella capitale messicana che girò "Los olvidados" grazie al quale ottenne il premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel 1951. Buñuel non rinunciò a sprazzi di surrealismo, corrente che abbracciò negli anni '20 tutte le arti e che ne decretò la fama di regista, tuttavia, scelse un tono registico più vicino al neorealismo, allora in voga grazie ai maestri italiani come De Sica, per raccontare con distacco e senza moralismi le gesta di una banda di ragazzini dediti al brigantaggio per le strade della capitale. Un nugolo di dimenticati, come il titolo magistralmente suggerisce, lasciati soli a se stessi. Dimenticati dalle istituzioni laiche e religiose (nessun riferimento viene fatto all'opera caritatevole della Chiesa) e spesso dalle stesse famiglie di appartenenza, assorte da problemi impellenti come guadagnarsi la sopravvivenza o dimenticare la propria misera condizione. In una stagione di grande povertà ha buon gioco il facinoroso Jaibo, che, appena uscito dal riformatorio, dove non ha ricevuto la rieducazione millantata, diventa il punto di riferimento degli altri mocciosi attratti dai racconti e dall'atteggiamento fiero e spavaldo. Le sbruffonate che escono dalla sua bocca sono il canto melodioso della Sirena Ligeia che sembra invitare: "venite a me, io mi prenderò cura di voi. Da me saprete molte più cose che vi aiuteranno a sopravvivere in questo mare di miseria". Ma è solo un trabocchetto nel quale cade, anche, il piccolo Pedro che rifiutato dalla madre vede in Jaibo un solido riferimento. Pedro diventa complice di Jaibo che si fa giustizia da solo ammazzando Julian reo di aver spifferato il nome del suo aguzzino decretandone l'arresto. L'episodio sconvolge Pedro al punto da promettere a se stesso e alla madre di cambiare vita. Per un po' il proposito funziona grazie ad un lavoro da fabbro. Ma i guai continuano a perseguitare Pedro che viene accusato del furto di un coltello. Per non tradire Jaibo, il vero ladruncolo, Pedro finisce al Correzionale. Uscito dall'istituto, col beneplacito del direttore che gli affida 50 pesos per testarne la lealtà, Pedro viene derubato. Il bambino sfida Jaibo che gli ha sottratto il danaro. Umiliato spiattella ciò che ne è stato di Julian...

L'isola delle Sirene è uno scoglio cosparso d'ossa e cadaveri in putrefazione. Sono i corpi dei vari Julian, Pedro e Jaibo, vittime della suadente melodia del male e della violenza che predicano un futuro senza fatica. Senza i tappi di cera a coprirsi le orecchie e l'albero maestro a cui farsi legare è impossibile sfuggire al potere ammaliante della corruzione morale e del danaro guadagnato senza fatica. Nemmeno chi ha resistito al richiamo (Pedro, Julian) è riuscito ad evitare il destino cantato dalla menzogna di una condotta dissoluta e priva di conseguenze. Nel vuoto delle istituzioni e nella miseria più nera potrebbe bastare l'amore di una famiglia per sopravvivere alle difficoltà. Il regista spagnolo fa a pezzi la speranza e ne offre un enorme pezzo crudo e sanguinante al piccolo Pedro che chiedeva alla madre il cibo quotidiano come chiedeva amore e carezze per sopravvivere ogni giorno a fame e privazioni. Un amore che gli è stato sottratto dallo stesso Jaibo che desiderava la donna, sorda ai desideri del figlio, quanto lei stessa desiderava il giovane a cui mostrava le gambe nude ed insaponate. Pedro ha voluto sua madre quanto lei ha desiderato disfarsene. Il film di Buñuel è senza pietà. La pietà è anch'essa caduta nell'isola delle sirene. Non c'è pietà nel ricordo di Jaibo che ha pensato, mentre il sangue gli colava dalla fronte, alle parole terribili di sua madre. Non è riuscito, Jaibo, a raffigurarsi la madre bellissima e dolce che tutti gli orfani invocano, nemmeno in punto di morte. Ha ricordato le sue parole più truci ed un cane rognoso (il vecchio e avido cieco) che l'ha rincorso fino al compimento del proprio destino. Non c'è pietà per Julian accoppato a bastonate e lasciato marcire su uno scoglio rovente. Non c'è pietà per Pedro scaricato dal precipizio come puzzolente spazzatura in una città ricoperta di macerie (morali). Non c'è pietà per sua madre che lo cerca nel profondo della notte già vestita di nero. Non c'è pietà per Ojitos abbandonato due volte al proprio destino da adulti sconsiderati ed egoisti.

Un film doloroso e amaro che, citando un'opera recente, della speranza non conserva nemmeno il vizio.

 

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