Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Un film ancora del periodo messicano, che certamente non è stato breve per Bunuel, ma che gli ha permesso di avere la libertà espressiva a cui ha sempre aspirato. Qui siamo in una tematica quasi neorealistica, nel senso che prende in considerazione la situazione giovanile nei bassi borghi della metropoli, ma il regista non rinuncia mai ad inserire la sua visione surreale attraverso i sogni del ragazzo succube di una madre insensibile e di un contesto molto duro. L’ambientazione non fa sconti al contesto marcio in cui i giovani si muovono, e ci sono accenni importanti anche sul tema della pedofilia che lasciano l’amaro in bocca, tenendo conto anche del periodo ancora in cui siamo. La fotografia di Figueroa aiuta a costruire una bidonville in cui fotografa un’ambientazione che essa stessa genera violenza. La madre stessa, che detesta il suo primogenito, viene da un’esperienza di violenza sessuale che l’ha messa in attesa del figlio, quindi violenza che genera violenza senza molta speranza di interrompere la catena, se non nel breve quadro del riformatorio, dove si aleggia una prospettiva di recupero, che però deve sempre fare i conti con una realtà che assedia l’isola felice, il finale non consolatorio conferma il pensiero che il regista offre.
una storia di infanzia ed adolescenza violata
una vera denuncia, ma a modo suo ed incisiva, vinse a Cannes per la migliore regia
il ruolo del cieco perfido
il ruolo durissimo della madre
il ragazzino vittima
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