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S.O.S. I mostri uccidono ancora

Regia di Terence Fisher vedi scheda film

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La recensione su S.O.S. I mostri uccidono ancora

di PompiereFI
4 stelle

Alcune casse colme di equipaggiamento chimico, vengono scaricate in un piccolo porto di un’isola sperduta, al largo delle coste irlandesi. Servono a un ricercatore di nome Lawrence Phillips, misantropo scienziato che collabora con alcuni laboratori di Londra, New York e Tokio (giusto per internazionalizzare un po’ il progetto!) allo scopo di debellare nientemeno che il cancro. Il Dott. Stanley, reso sullo schermo dal volto severo di Peter Cushing, cerca di risolvere la situazione sfuggita di mano allo studioso, facendo appello anche a una certa dose di humour, non sempre usato in modo giusto (alcuni strafalcioni su improbabili doppi sensi sessuali sono da raccapriccio). 

I “mostri” del titolo hanno una proboscide dotata di ventose, attaccata a un carapace con le gale, che striscia e all’occorrenza si arrampica; con in rilievo i loro bubboni pustolosi, non rendono la pellicola così meravigliosa dal punto di vista estetico. Nonostante questo, il film mantiene uno stimolante e curioso istinto che ci obbliga a vederne la fine. Alcuni fastidiosi riverberi elettromagnetici, accompagnati da ultrasuoni ed echi sinistri, annunciano l’arrivo dei cosiddetti “silicati”, sfuggiti al controllo degli esperimenti. Le viscose mignatte si cibano di ossa e, quando mangiano, fanno il rumore della ricarica di un grosso orologio da parete, spolpando gli sventurati e lasciando solo i vestiti e un’orrenda poltiglia come avanzo.

Gli interni e gli esterni delle location sono “very british”, tra deliziose tendine, carta da parati e rivestimenti floreali, e brughiere o boscaglie avvolte da una minacciosa foschia. Cushing è orribile nella sua camicia color arancio; mette più brividi dei mostriciattoli. E le stradine dell’isola perlustrate in lungo e in largo dall’automobile che ospita i protagonisti, in un rincorrere confuso di persone scomparse, perde il tempo dietro a indizi messi lì più per far accumulare un minutaggio minimo che per dare spessore alla vicenda.


“Island of terror” (questo il più appropriato titolo originale) è un tipico “prodotto Hammer” girato nei prestigiosi studi della Pinewood a Londra, ed è scritto in modo goffo, a tratti estremamente noioso e ripetitivo, salvato in corner da una regia dignitosa di uno spaesato Fisher che si permette pure qualche bella scena di suspense. Tutto sommato anonimo, inclusa la controversia etica a cui farebbe appello, risalta per la sua candida sciocchezza. Vederlo oggi, per me è un ritorno all’infanzia quando, in uno stesso pomeriggio, ero solito sorbirmi anche per tre volte di seguito lo stesso film. La fantascienza come la si osserva qui, quella fatta dai veri artigiani, purtroppo è sparita: se è vero che la computer graphic ha aumentato il nostro livello di percezione della realtà, ha pure deragliato in quanto a passione e spontaneità.

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