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Vive l'amour

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

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La recensione su Vive l'amour

di lorebalda
8 stelle

 

Filmare il vuoto

 

Vive l'amour, viva l'amore: ma il titolo è ironico. Fra dramma e commedia beckettiana, il capolavoro di Tsai Ming-Liang è quasi impossibile da etichettare. La narrazione è esplosa; rarissimi dialoghi; lunghe inquadrature immobili.

 

Prima immagine di Vive l'amour: una close-up di una chiave. Ed è proprio questa chiave il MacGuffin di Vive l'amour, film sospeso ed inafferrabile, ironico e dolente. Il giovanissimo Hsiao-kang, che non ha un'abitazione fissa, se ne appropria subito, fin dalla prima inquadratura: ogni notte, di ritorno dal lavoro, entrerà nello spazioso appartamento.

 

Ma Hsiao-kang non è l'unico protagonista del film: Vive l'amour racconta un paradossale ménage à trois. Insieme al giovane, un altro ragazzo, Ah-jung, un venditore di strada, e una donna, May Lin, che lavora nell'agenzia immobiliare e che cerca di vendere proprio l'appartamento dove entra di nascosto Hsiao-kang. Le chiavi sono dunque tre: quella che il vecchio proprietario ha inavvertitamente lasciato nella serratura, quella che Ah-jung probabilmente ruba proprio a May Lin la prima notte d'amore, e la copia che la donna recupera all'agenzia immobiliare. Tutti e tre i protagonisti hanno dunque accesso all'appartamento e, a turno, tutti vi entrano; eppure, paradossalmente, non si incontrano (quasi) mai.

 

La metafora è chiara: comunicare è impossibile. Il film è dominato dal silenzio, dal non detto. Dall'apatia. Si sta nello stesso appartamento, addirittura nella stessa stanza, senza vedersi (un paio di sequenze, giocate sul filo di una comica tensione), si parla per telefono senza conoscere l'interlocutore (e le chiamate si interrompono sempre sul più bello), si vedono svanire i propri sogni: Hsiao-kang non dichiarerà la sua attrazione per Ah-jung; May Lin non tornerà dall'amante. Tutti e tre rimarranno chiusi nella loro solitudine.

 

Dunque Tsai adotta uno stile coerente: Vive l'amour sarà un film di vuoti, una prigione formale. La composizione delle immagini (e la loro durata) è significativa: spazi anonimi (scale, corridoi), figure umane schiacciate sullo sfondo, riprese frontali, primissimi piani che accentuano la fisicità della messa in scena e allo stesso tempo ingabbiano gli attori. La solitudine dei protagonisti è dunque evocata attraverso precise scelte formali: luoghi, oggetti, colori, suoni.

 

Per questo, massima attenzione e cura alla forma, all'impasto sonoro (il tacchettio di May Lin e lo scorrere dell'acqua sono il leitmotiv del film), alle cose che stanno in scena.

Ci sono oggetti che ritornano più spesso di altri nel film di Tsai: il telefonino, le sigarette fumate nervosamente. E il letto: luogo di delusione, di incontri mancati o anonimi, di soddisfazione solitaria. Ancora: l'acqua scorre più volte, nel film, così come più volte i tre protagonisti si lavano, si immergono nella vasca da bagno. Ma la purificazione (il cambiamento) è impossibile.

 

Il finale è in questo senso esemplare. Si accusa Tsai di manierismo, ma l'ultima sequenza del film è la dimostrazione che nel suo cinema formalismo e realtà vanno spesso a braccetto. Un campo lungo, infatti, può assumere significato politico e sociale: è il caso della panoramica che svela allo spettatore, nel prefinale di Vive l'amour, le pessime condizioni del parco al centro di Taipei. Un'inquadratura desolante, sconvolgente. Dice Tsai:

 

«Quando ho scritto la sceneggiatura, volevo che il film si concludesse con una nota di speranza. E così il finale doveva essere questo: dopo aver camminato, camminato e camminato nel parco, la donna decide che sì, si sarebbe innamorata. Sarebbe tornata indietro nell'appartamento e avrebbe aspettato che l'amante addormentato si svegliasse. Questa la conclusione della sceneggiatura. Per girare la scena, ho voluto aspettare che aprissero di nuovo un certo parco a Taipei. Quando l'hanno aperto, ho scoperto che era lo stesso di pochi giorni prima: niente era cambiato. Non era nelle condizioni di essere aperto ai cittadini, eppure è stato aperto comunque. Con una tale delusione nel cuore, non c'era nessuna possibilità che io girassi la conclusione originale, quella della sceneggiatura. È così che ho cambiato idea, e ho deciso il finale di Vive l'amour».

 

Tsai dedica quasi cinque minuti all'esplorazione di questo luogo pubblico letteralmente in macerie: due inquadrature soltanto – un'eccezionale carrellata fluttuante che segue May Lin, e questa tristissima panoramica. Cinque minuti cinque: un'enormità? No, perché è proprio attraverso la durata che Tsai riesce ad entrare sottopelle: la delusione del regista taiwanese diventa la nostra. Ma il peggio deve ancora arrivare: sarà proprio l'ultima, straziante inquadratura di Vive l'amour, un primo piano di sei minuti, a costringere lo spettatore alla resa definitiva, ad abbassare lo sguardo, costretto a un'identificazione emozionale devastante, dolorosissima. Tsai ci trascina dentro l'inquadratura: disperata, May Lin piange di fronte allo spettatore.

 




Articolo già pubblicato (in una versione più estesa) qui: http://specchioscuro.it/vive-lamour/

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