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Dunkirk

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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La recensione su Dunkirk

di lussemburgo
3 stelle

Dunkirk è pieno di forti ed evidenti scelte registiche che ne conformano l'andamento alla radicalità  di una dominante opzione stilistica. Benchè incombenti sulla città  e assiepati dietro alle dune con la potenza della completa invasione dell'Europa e la definitiva conquista della Francia, i tedeschi rimangono quasi del tutto fuori campo, la narrazione riguardando soltanto gli effetti dei loro attacchi sui soldati inglesi in attesa del rimpatrio Oltremanica. I colpi esplosi, i siluri che solcano le onde, gli attacchi aerei sono espressione di una potenza malevola e abile, talmente maligna da non avere quasi volto, nascosta alla vista e manifesta soltanto nei suoi delittuosi e mortiferi effetti.

I visi dei soldati britannici invadono invece lo schermo, nell'anonimato delle truppe massacrate a distanza, sacrificate nel ripetuto e prolungato tentativo di salvataggio via mare, assiepate sul molo per salire su una qualsiasi imbarcazione che li riporti verso Dover. Le facce note sono poche, relegate in ruoli importanti ma minori (Tom Hardy pilota di caccia, Kenneth Branagh ufficiale della marina a coordinare il rimpatrio, Mark Rylance al timone di una barca da diporto e pochi altri) a punteggiare e sostenere il racconto di una fuga verso casa e la vita, mentre il film si concentra su un anonimo soldato tallonato dalla città  alla spiaggia, fino ad una nave e ad una barca in successivi travagli e momentanei salvataggi.

Anche i dialoghi sono quasi assenti, semplicemente funzionali al racconto e alle dinamiche in gioco in quel momento sullo schermo, privi di slanci poetici o letterari, fermamente ancorati al presente dell'azione. Così la musica viene quasi sempre sopraffatta dagli effetti sonori che accompagnano la scena, dagli spari e dalle esplosioni e, soprattutto, dalle urla di dolore e dal rumore dell'acqua in gola che le soffoca.

Se la struttura del film è determinata dai tentavi, progressivi ma apparentemente infruttuosi e luttuosi, del protagonista di lasciare il porto francese di Dunquerque, anche fingendosi un portantino o nascondendosi in barche in secca, l'andamento è dettato da una scansione temporale fratta che condensa nella breve durata del film una settimana, una notte e un'ora, differenti a seconda del luogo dell'azione. Ne deriva l'assenza quasi totale di montaggio alternato e della contemporaneità  delle situazioni, così come dell'alternanza del punto di vista. La scena non risulta quindi frazionata drammaticamente con la giustapposizione di sguardi diversi e vicende contemporanee ma procede rapida verso una conclusione temporanea, per essere ripresa in seguito da una diversa angolazione e portata a sviluppo o compimento solo successivamente. Si succedono quindi inquadrature diurne e notturne, luoghi e tempi separati eppure assemblati dal montaggio, con effetto a volte straniante ma, al contempo, immersivo nella singola scena, che viene così potenziata dal suo stesso andamento indisturbato, come in una sorta di stereoscopia virtuale.

Nel chiarore del cielo si combattono i caccia avversari, e gli scontri si seguono dall'interno della cabina; nel nero del mare notturno le onde sopraffanno i malcapitati e gli assi delle inquadrature si impennano al capovolgersi delle navi; nel biancore delle spiagge e del molo le esplosioni delle bombe sbranano i corpi mentre i mitra crivellano i sopravvissuti; il legno delle imbarcazioni private requisite per recuperare i soldati non offre calore nè protezione: il caso domina ogni gesto, la sopravvivenza dipende da scelte minime dagli esiti imprevedibili, la guerra è solo caos e l'unica certezza è la prossimità  della morte.

Tra silenzi e strilli di dolore, atti eroici o vandalismo bellico, vigliaccheria e stupidità, nel finale un treno riporta a casa i pochissimi soldati rimasti, afflitti dalla stanchezza e tormentati dal fallimento. Eppure la popolazione e la politica li acclamano come eroi, li accolgono come combattenti valorosi. Se i governanti e la stampa vogliono intiepidire la sconfitta subita, la popolazione li accoglie quasi in gloria. E il film, contraddicendo tutto l'impianto precedente, fa altrettanto, gonfiando la colonna sonora di enfasi trionfalistica su immagini di calorosi abbracci o sguardi stanchi e coraggiosi, pacche sulle spalle e tramonti sul mare. Dunkirk si ammanta sul finale di quella retorica che aveva fatto finta di evitare per tutta la sua durata, quando cercava di emulare la secchezza tragica dell'inizio di Salvate il soldato Ryan con un simile sbarco in luoghi analoghi. E, allora, la ricercatezza stilistica esibita con dovizia e cura finisce col mettersi al servizio di un vuoto pieno di eloquenza. Sebbene il film ricalchi l'evidenza storica di una disfatta trattata da parziale vittoria (il "Miracolo di Dunkirk"), sfruttata per il rilancio della rivincita che verrà  conquistata di là a qualche anno, esso si rivela al contempo come un mezzo propagandistico di una volontà autoriale che pretende di conquistare lo spettatore senza quella retorica che rimane sottesa per esplodere infine plateale, svelandosi tale soltanto alla fine, a giochi fatti, per bearsi della propria professionalità  e autorevolezza.

Dunkirk, quindi, si manifesta come una messinscena di una personalità  registica in attesa di acclamazione, la costruzione attenta e meticolosa di un piedistallo per l'Autore, un tronfio trionfo di effetti che difetta di pathos e affetto, uno specchio delle proprie vanità  confezionato per issarsi al di sopra del volgo cinematografico e celebrarsi demiurgo. Ogni scelta fatta da Nolan viene negata dal suo stesso finale, denunciata implicitamente come mero artificio edificato per raggiungere un effetto e non un senso, nella totale indifferenza di quello stile promosso a rigore che, però, smascherato in extremis, diventa inganno, indifferente al reale esito delle vicende ritratte e dei suoi protagonisti.

 

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