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La stanza delle meraviglie

Regia di Todd Haynes vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La stanza delle meraviglie

di alan smithee
7 stelle

FESTIVAL DI CANNES 2017 - CONCORSO / CINEMA OLTRECONFINE

Ben e Rose hanno circa la stessa età: sono due bambini sui dodici anni, che trovano nella città di New York, la meta di un loro viaggio personale ed intimo alla ricerca di una importante verità. Scopriamo già da subito, tuttavia, che li separa un bel pò di tempo: cinquant'anni esatti, essendo la bimba nel 1927, mentre il ragazzo nel 1977: per motivi diversi entrambi sono muti: lei per cause naturali; il ragazzo come conseguenza di un fulmine che lo ha sfiorato poco tempo prima.

Se Ben è da poco orfano di madre, una bibliotecaria morta suicida, da un frammento di un appunto materno il ragazzo trova un appiglio che gli sembra valido per poter rintracciare fruttuosamente quel padre di cui non ha mai saputo nulla. Rose invece è stata abbandonata dalla madre, divenuta attrice di successo nel cinema degli albori.

Il Museo Americano di Storia Naturale di Manhattan sarà il vero e proprio teatro in grado di far congiungere due epoche storicamente incompatibili perché diverse, riavvicinando due solitudini in una vera famiglia per troppo tempo ingiustamente separata dai casi del destino.

Le ragioni del cuore e del sentimento, la necessità di un'amicizia sincera utile ancor più di un amore, sono da sempre una delle note più calde ed appassionate dell'ottimo e profondo, oltre che intimo ed intenso regista Todd Haynes. Che approfitta di due periodi storici piuttosto nettamente separati per accostare anche (o soprattutto - la magia di questo fulm è racchiusa a mio avviso in questo magico dualismo) due "ere" cinematografiche tra loro completamente differenti ed antitetiche, rivali a tal punto che la più innovativa ha annientato la seconda: quella del cinema muto in bianco e nero del 1927, e quello a colori e parlato di metà anni '70.

Ne deriva un film che regala l'emozione di una storia anche molto articolata e complessa, forse sino un po' artificiosa, ma in cui prevale su tutto il ragionamento, la forza del sentimento sottostante che anima ogni momento del film (pure la vicenda - solo apparentemente secondaria - dell'amicizia tra Ben ed il coetaneo di colore che non ha amici e in qualche modo lo aiuta concretamente ad entrare nella stanza magica ove tutto ebbe inizio - è un inno all'amore puro, inteso come ricerca di una persona con la quale condividere le gioie di una vita che non può essere sempre spesa nella solitudine di sentirsi differente da una massa che non è in grado di capire o apprezzare chi non riesce ad uniformarsi alle sue regole spesso superficiali e vuote che la regolano).

Ma Wondestruck è anche la magia cinefila del riuscire a fondere due mondi, due stili di recitazione, due universi così opposti che l'avvento dell'uno provocò la morte del suo anziano ed ormai superato antagonista: qui muto e sonoro convivono con lo stato, per nulla casuale, di una sordità che accomuna, naturalmente ed incidentalmente, le due persone che percorrono, lungo due dimensioni parallele, ma differenti, lo stesso percorso accidentato, ma l'unico in grado di far luce sulla complessa e drammatica realtà dei fatti.

Bravissimi, e senza mai risultare leziosi, i due attori bambini che interpretano Ben (Oakes Fegley) e Rose (Millicent Simmond), come il piccolo solitario amichetto di Ben, ben impersonato dal piccolo attore nero Jaden Michael.

E se, nella parte della mamma suicida di Ben troviamo una dolente Michelle Williams in un piccolo ruolo certo, ma ben caratterizzato, alla grande Julianne Moore spettano ben due importantissimi ruoli, solo apparentemente di contorno, che  tuttavia non è bene anticipare nelle caratteristiche, per non rovinare il gusto della visione di questa intensa favola colma di passione e sentimento puro. 

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