Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Libera rilettura di 1984 di Orwell, Brazil sembra essere un film senza tempo che, come i vecchi film di fantascenza, unisce costumi anni '40 a scenografie stile Metropolis. Sembra essere un futuro immaginato da un passato lontano, dove macchine da scrivere e posta pneumatica convivono con sistemi informatizzati e paesaggi completamente antropizzati. Tutto palesemente finto, reso con plastica e polistirolo, come nella tradizione degli anni '80.
La burocrazia domina ogni aspetto della vita e il minimo sbaglio di un impiegato può trasformarsi in una questione di vita o di morte; le persone sono perennemente distratte dall'acquisto di regali o da operazioni di chirurgia plastica, mentre l'illusione della felicità è perpetrata tramite cartelli pubblicitari e film, che ricorrono tra gli onnipresenti condotti che legano e collegano tutto e tutti.
Nel guazzabuglio proprio dei film grotteschi, ogni singola scena trova una sua ragion d'essere, dalla bambina che chiede a Babbo Natale una carta di credito a De Niro che scompare inghiottito dai documenti dopo aver gettato gli attrezzi del mestiere in una tubazione (proprio come ne Il Padrino - parte II).
Mancano il grande fratello o il divieto dei sentimenti, ma l'atmosfera del romanzo originale è resa molto bene e soprattutto il messaggio di fondo, caro a Gilliam, rimane il medesimo: per fuggire dal sistema nel quale viviamo siamo condannati a sognare, non esiste altra via d'uscita se non quella di essere liberi attraverso la propria fantasia. E il film si chiude sulle note della samba, da cui il titolo, che anelano a luoghi esotici lontani.
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