Espandi menu
cerca
Butch Cassidy

Regia di George Roy Hill vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scapigliato

scapigliato

Iscritto dall'8 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 137
  • Post 124
  • Recensioni 1361
  • Playlist 67
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Butch Cassidy

di scapigliato
8 stelle

Perfetto. Chi vede nel film di George Roy Hill solo una smitizzazione in chiave di commedia dell'immaginario western, condannandogli ogni virata comica, è perchè in cuor suo non ha mai, forse, amato e sentito il western. La parabola picaresca di Butch Cassidy e di Sundance Kid sarebbe stata una parabola tragica se il regista non avesse voluto, di concerto con i due grandi carismatici attori, sostituire la tragedia di una vita "contro" con la propria mitizzazione. Se da un lato si smitizza il west glorioso, forte e severo della fondazione americana, dall'altro si mitizzano personaggi canaglieschi, scapigliati, ribelli fino all'estremo. Vengono umanizzati, resi simpatici e vulnerabili. Eppure rubano, uccidono, si prendono gioco della legge, forse amoreggiano in tre, e sotto sotto vorrebbero forse vivere la loro amicizia andandoci oltre. Scherzano con la morte. La negano, non la vogliono accettare, e pur morendo, è come se la sconfiggessero. Sono i rappresentanti malinconici di un'umanità innocente, quasi infantile, sognante. Due disadattati, due emarginati, vittime di un una società che avanza e li calpesta. Saranno fuorilegge, è vero, ma credevano nel loro presente con una forza che è estranea ai miti del capitalismo. Gettare la bicicletta lontano da sè, è per il Butch Cassidy di Paul Newman, l'inizio della fine. Forse non lo sa, ma lo sappiamo noi. "Hai il futuro tutto per te!" le dice lanciandola via, ma il presente, no, quello è ancora suo. Suo di Butch, e nostro. Da qui i due amici iniziano altre peripezie, ma più gravi, con quel fantomatico gruppo di vigilantes che rappresenta la morte. Una morte che li insegue senza sosta, come un fiume in piena che non puoi fermare. La minaccia costante di questo gruppo di prezzolati pistoleri è il catalizzatore di tutti i movimenti, interni ed esterni, dei due personaggi. Paul Newman sognante e ottimista è il volto di punta di tutta l'iconografia del film, ma è Robert Redford, credo, a incarnare il personaggio che più di tutti, con il suo distacco partecipato, incarna il disincanto, la rabbia e la ribellione tipica dei randagi che sono: ribelli con quel pizzico di nichilismo, sano, che non guasta. I due attori-icona non si calpestano i piedi, si prendono i propri spazi e lasciano il campo all'altro quando è il suo turno. Il regista ha avuto la fortuna di avere loro due come protagonisti. Forse con l'ipotizzato Steve McQueen le cose sarebbero state diverse. Ma questa è un'altra storia. George Roy Hill ha saputo creare un film leggendario, grazie agli attori, alla fotografia e ad una sceneggiatura che ci regala una modulazione narrativa d'antologia. Mantenendo il film sul punto di vista della narrazione, il regista riesce a raccontarci una storia incredibilmente sentita e partecipata. Ma il momento finale, il culmine di queste peripezie affrontate, va ricordato, con quel sorriso canagliesco e quella battuta sarcastica sempre pronta a sdrammatizzare il grave incedere della morte su di loro, è il più intenso e partecipato di tutto il film, nonostante sia giocato appunto sulla sdrammatizzazione e sul distacco. Commovente proprio per l'innocenza, la testarda ingenuità, anche fortemente voluta, con cui Paul Newman e Robert Redford affrontano e vincono la morte con quell'ultimo significativo fotogramma. Una foto, un ritratto che potrebbe essere quello che abbiamo in casa, su un comidino, o nel portafoglio. L'istantanea di uno dei momenti migliori della nostra vita. Ecco con che potere vincono la morte. Con il potere e la forza dello sberleffo, della loro ribellione al sistema e ai vari poteri costituiti. Sono due canaglie. Due scapestrati, picari e randagi che credono solo nei loro sogni, nella loro amicizia e nell'amore che a stento sanno portare avanti.
"Butch Cassidy and the Sundance Kid", per la sua importanza storica e artistica, non può non essere confrontato con altri due western pari-categoria: il coevo "The Wild Bunch" e il successivo "Pat Garrett and Billy the Kid", entrambi di Sam Peckinpah. Il film di George Roy Hill esce nelle sale americane il 24 settembre del 1969. "The Wild Bunch" il 18 giugno dello stesso anno. E' logico pensare che il film di Peckinpah sia stato girato leggermente prima o quasi contemporaneamente, meno logico credere che i due film si siano ispirati a vicenda o anche solo mutuati. Di testimonianze a riguardo non ce ne sono, e tutto farebbe pensare che nel primo anno post-'68 più autori abbiano voluto sigillare la fine di un'epoca con la disillusione canagliesca e la smitizzazione elegiaca della vita. I due film terminano, anche se con violenze estremamente diverse, allo stesso modo. I protagonisti vanno a morire. Più o meno consapevolmente non ha quasi importanza nell'economia della narrazione, perchè il climax è quello, la loro dipartita, il loro saluto, il loro ultimo sguardo, il loro ultimo respiro prima del nulla. La capacità, la lucidità con cui vanno al mattatoio i protagonisti dello zio Sam ha lo stesso peso malinconico ma orgoglioso dell'ingenuità perpetua e del disincanto voluto fino all'estremo dei due protagonisti del film di George Roy Hill.
Prendendo invece il "Pat Garrett and Billy the Kid" del 1973 vediamo come ad unire i due film oltre alla coppia, seppur non di segno uguale, ci si metta anche una certa malinconia, un'elegia straodinariamente forte in Peckinpah, quanto più ruvida e meno incisiva in George Roy Hill. Se nel primo i segni dei due ex amici sono segni opposti e antitetici, da metterli uno contro l'altro fino ad ammazzarsi, nel secondo sono segni di una complice intesa sulla vita, l'amore e il mondo. E se nel primo, dopo la morte di Billy, Pat Garrett vive lo sprofondamento di un suicidio, nel secondo i due banditi picareschi vincono la morte. Il film di Peckinpah, successivo, non ha pietà, non ha parvenze di speranza, mentre "Butch Cassidy and the Sundance Kid", forte forse del precedente anno mirabilis del '68, ha ancora molta speranza e molti sogni ad occhi aperti, nonostante i due amici vadano a morire. Sogni e speranze mischiate con disillusione e rabbia: è la stessa formula peckinpahniana dai tempi di "Ride the High Country", solo che il mitico zio Sam preferiva chiudere alla sua maniera, dando alla morte quel che è della morte.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati