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Lo scopone scientifico

Regia di Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su Lo scopone scientifico

di lamettrie
7 stelle

Un film contraddittorio, dalla fama eccessiva. Lungo, sovente noioso, si basa molto sui cliché: quello dello straccione che cerca la fortuna, quello del capitalista che fino all’ultimo la vuole avere vinta per la sua avidità… Sembra un finale già scritto in partenza, quello della sconfitta del popolo.

Forse il grande successo del film si deve a questo difetto tipicamente italiano (ma non solo): la ludopatia. La moglie di Sordi non sa fermarsi perché accecata dal guadagno facile. Neppure la vecchia ricca si sa fermare, e butta in via in modo amorale immense quantità di soldi che potrebbero essere spese molto meglio, per sé e per il mondo: ma è evidente che lei si gioca molto di meno, quasi nulla, mentre la stessa cifra cambia la vita dei suoi eterni sfidanti/perdenti in modo incredibilmente straordinario. Già questo è un merito del film: la denuncia dell’ingiustizia sociale, quella del ricco che può permettersi di giocarsi l’inverosimile, mentre altri, moltissimi di più, non hanno di che vivere (come la sceneggiatura di Sonego mostra bene).

Il merito grande del film sta nella gelosia, che si evidenzia nel finale: l’amore mostra la sua forza nel personaggio meschino di Sordi, qui l’umile per eccellenza, il quale si abbassa a tutto pur di rimanere amato, e insieme e così, sottomesso alla moglie.

Comencini ha mano felice anche nella critica al popolo ignorante, superstizioso. E ancora di più nel mostrare come in realtà sia molto peggio il capitalista: laido, rapace nonostante la patina esteriore di “simpatia e democrazia”, costitutivamente ladro, per forza avrà basato la sua incommensurabile superiorità su furti, immensi e atroci (come le speculazioni al telefono lasciano presagire). Perciò l’odio plebeo sembra giustificato. Queste lettura risente anche di una schematizzazione ideologica, che anche nel ’72 era corrente, ma che difficilmente si può confutare.

A rincalzo di ciò, belle le incursioni su tante figure popolari: il professore marxista spiantato ma meno sciocco degli altri; la prostituta impossibilitata dalle ingiustizie sociali a fare altro; il prete punto di riferimento, ma incapace di gestire la folla; una folla stupida, che non può fra altro che cullarsi in sogni di rivincita velleitari.

Grandissimi Bette Davis, la Mangano, e un Sordi diverso da molte delle consuete sue maschere: perdente, semplice, sanguigno, ingenuo, impacciato. Ottima la fotografia e la scenografia, che mette in contrasto ambienti patrizi e plebei.

Il finale “rivoluzionario”, con l’assassinio della capitalista per mano della bambina che le porge, in modo apparentemente innocuo e gentile, il dolce avvelenato, è l’emblema del film: sospeso tra sogni improbabili e giuste, inevitabili ansie di riscatto. E forse l’emblema della sinistra, delle sue sacrosante rivendicazioni, che non riescono ad avere realmente l’esito desiderato.

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