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Il salario della paura

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Il salario della paura

di andreacrash
8 stelle

William Friedkin è uno di quegli autori che mi piace
definire come "sinfonici dello sguardo", e questo suo
remake di vite vendute di Clouzot è il terzo di quei tre capolavori degli anni 70 diretti dal grande
regista. Circolano ad ora due versioni di questo remake,
una è ad oggi disponibile su youtube e comincia a narrare
le vicende dei 4 personaggi partendo dalla location del sud
america, mentre l'altra, a mio avviso migliore, parte dagli
antefatti che spiegano il motivo per cui i protagonisti
sono dovuti emigrare a seguito di gravi conseguenze dovute
alle loro azioni. Ad oggi, inoltre, è difficile veder
passare questo titolo in tv, e non esiste nemmeno una
versione dvd in italia, ma sembra che Friedkin si muoverà
entro l'anno in corso per curarne direttamente una versione
in ray blu disc ( e sarebbe anche ora ).Detto questo, il
film, mettendo in analisi la versione che introduce le vite
dei personaggi, nel suo prologo appare un pò tirata via, e
Friedkin si concentra di più in termini di durata sulla
vita del bancarottiere parigino e del rapinatore
newyorkese, andando più rapido sulla storia del killer e
del terrorista arabo, questo forse dovuto anche, a mio
avviso, a vicissitudini produttive legate alla durata, dove
Friedkin ha dovuto prendere il bilancino e decidere cosa
sacrificare. Finito il prologo il regista riparte dalla
location sud americana prendendosi i suoi tempi, e narrando
soprattutto con il linguaggio dello sguardo più che con
quello delle parole: i volti abbattuti di personaggi si
scrutano a distanza, presagendo l'incrociarsi dei loro
destini, il loro vagare  errante nelle stradine piene di
miseria di Managua, i loro sguardi stanchi colti dai
desideri indotti da un cartellone di pubblicità che li
rimandano ai piaceri di una condizione ormai lontana, il
loro contrattare per uscire dal paese senza successo, il
loro stesso non essere protagonisti più di nulla costretti
a condizioni di lavoro pesanti, trasmettono un violento
pessimismo scandito dalla documentaristica Friedkiniana che
affastella le circostanze in un cinema che si avvale della
fascinazione del muto narrarsi per immagini, senza dare via
di scampo agli attori di potersi crogiolare in un dialogo
che vada al di fuori del loro parlare per un pragmatico
sopravvivere. Friedkin decide per una dimensione filmica
che non può essere scalfita da romanticherie in quanto la
profondità caratteriale è sacrificata, appunto, in un tour
de force visionario di straordinaria capacità espressiva,
dove la tensione non presenta cedimenti. La dinamiche
preparatorie dei camion sembrano voler mettere l'uomo a
contatto diretto con un inquietante esaltazione dei frutti
della tecnica meccanica, mentre il viaggio nella foresta li
fa schiacciare all'interno dei percorsi accidentati di una
natura sinistra, protagonista invisibile di buona parte del
film, che detta l'impotenza disperata dei protagonisti alle
prese ancora una volta, nel cinema di Friedkin, con forze
superiori che dominano l'uomo soggiogandolo al suo
terribile, esaltatante, furioso gioco. Roy Scheider non
volle mai parlare del film nelle interviste proprio per il
fatto che Friedkin aveva sforbiciato via alcune parti dove
l'attore dava un maggior spessore alla caratterizzazione
del suo personaggio, chissà se verrano mai recuperate come
successe per the french connection...si perchè comunque
dopotutto pregi di regia che sono molteplici ( le lunghe
fasi preparatorie e su strada dei camion dove la
concentrazione dello sguardo fondato su un vivido realismo
si esprime in un montaggio che inquadra le
situazioni più urticanti nell'apice di tensione ( mi
azzardo a dire che Friedkin, tra l'altro, è uno dei più
geniali utilizzatori del montaggio elittico),improvvisi e
fulminei squarci espressionisti nella concitazione delle
scene di massa, l'affabulazione filmica dovuta agli zoom
lenti che calcano sulla dimensione allucinatoria in bilico
tra il realistico e il fantastico, l'improbabile) e sono
tutti segni di un cinema che oggi sembra non essere più
possibile per via della dilatazione dei tempi della messa
in scena, e che quindi va tenuto come esempio prezioso per
qualcosa che poi non si ripeterà...quindi ben venga anche
un sacrificio sul piano dello spessore dei personaggi...se
è a fronte di un lavoro di regia che è un'esperienza visiva
che lo spettatore non dimentica facilmente...(tenete
presente che nelle scene di attraversamento sul ponte sono
caduti giù camion e attori più di una volta, e ti credo che
poi Friedkin la indichi come la scena più difficile che
abbia mai girato, ma se tanto ci da tanto)..

Sulla trama

4 individui si vedono costretti a fuggire dal loro paese per diversi motivi, si ritroveranno in un paese del sud america alle prese con una sfida in cui rischieranno le loro vite.

Sulla colonna sonora

Non amo questo tipo di colonne sonore. Friedkin la usa bene.

Cosa cambierei

I tempi di oggi che non permettono le libertà artistiche di ieri.

Su William Friedkin

Di irripetibile dimensione filmica, soprattutto se si pensa quanto investirono al tempo in termini di capitali e quanta libertà d'azione ebbe il regista nell'operazione. ( ad oggi Friedkin lo indica come il film che rispecchia più di tutti gli altri il compiersi dei suoi intenti visivi)

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