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Milano calibro 9

Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film

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La recensione su Milano calibro 9

di Thrombeldimbar
4 stelle

Fernando di Leo reinventava il thriller italiano attorno i tipici stereotipi polizieschi dell'epoca. Se da un lato vengono riconosciuti i tratti classici del thriller americano, da l'altro il regista italiano crea un nuovo supporto per le fondamenta di un filone molto proficuo ed apprezzato dell'epoca, il poliziesco italiano. Costituito, molto spesso, da recitazioni folcloristiche in dialetto meridionale, mafia, tanta rabbia espressiva, mimiche facciali al limite dell'eccesso e inseguimenti automobilistici. Milano Calibro 9 è un film figlio del suo tempo ambientato nel capoluogo lombardo estraneo alla realtà, ma adattato molto bene ai canoni del genere, come ad esempio gli splendidi scorci dello skyline urbano avvolto nella nebbia. Ugo Piazza (Gastone Moschin), rilasciato dal carcere di San Vittore dopo una rapina andata male deve rimettere insieme i pezzi. Costantemente tallonato dagli scagnozzi dell'Americano (Lionel Stander), un grande boss della malavita intento a riciclare ingenti quantità di denaro sporco. Ugo viene sempre più ostacolato dai suoi obbiettivi primari.. Il balordo prima del carcere lavorava alla dipendenze del boss, e L'Americano è convinto del fatto che lui abbia rubato trecentomila dollari nell'ultimo riciclaggio per poi nasconderli, e successivamente creare un alibi perfetto cioè quello di farsi sbattere in galera di proposito, per poi, una volta uscito con la buona condotta, intascarsi i bei verdoni. Così costretto con la forza a tornare alle dipendenze del boss, Piazza deve trovare un modo per uscirne, il compito di rendergli la vita meno deprimente spetta alla fulgida figliola di Nelly (Barbara Bouchet), la sua ex, una go-go dancing che lavora in un Nightclub della mala. Nelly sembra ancora molto innamorata di Ugo anche se non riesce a capire come mai l'ex compagno non sia scappato subito all'estero con la refurtiva dell'Americano.. 

 

Il regista italiano dà vita così a quello che ai posteri sarà considerato un vero e proprio cult, anche se cosucce di ben poco gusto non tardano ad affiorare nella storia. Tipo le stupide, mal recitate e sempre sopra le righe discussioni fra il capo commissario di polizia (Frank Wolff), e il suo vice Mercuri (Luigi Pistilli), dove viene ostentata una morale ridicola, la quasi totale assenza di sangue provocato dai fori dei proiettili sui corpi trivellati e un poliziotto che si trovava, così per caso, all'ingresso del pedaggio autostradale proprio quando sopraggiungeva Ugo.. Il finale inoltre, anche se lo si potrebbe considerare la parte migliore, non fa intendere come sia possibile un'ammirazione così assoluta da parte di Rocco (Mario Adorf) nei confronti dell'odiato (fino a pochi minuti precedenti) "balorbone" di Ugo Piazza. 

 

4/10

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