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La via lattea

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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La recensione su La via lattea

di ROTOTOM
8 stelle

La via lattea è la strada che porta al Santuario di Santiago di Compostela, luogo mistico di pellegrinaggio. Strada che due pellegrini affrontano a cuor leggero, vivendo in prima persona o quasi la storia del Cristianesimo diventando testimoni di eresie, strane confessioni, miracoli e folli mistificatori, rappresentazioni di dogmi e visioni divine. Film criptico e grandiosamente tessuto di visionarietà e simbolismi surreali, distrugge il mito stesso della religione filtrandola nella follia dell’uomo che della religione è il creatore materiale, strano caso di creatore sottomesso alla propria creatura. Senza un apparente nesso logico se non per i protagonisti, i due pellegrini in viaggio, le vicende si svolgono slegate l’una dall’altra sotto forma di sketches, siparietti a volte intrisi di uno humor acido e irriverente, altre volte con compiaciuta ironia o beffarda presa in giro delle regole comunemente temute in tema teologico. Ne viene rappresentato Gesù che recita parabole assurde, un rito mistico tra il pagano e il cattolico in cui un fantomatico cardinale ordina il congresso carnale in un eretico /erotico culto della natura e della liberazione dell’anima dalla prigione del corpo che tanto assomiglia alle moderne comuni para religiose dedite a riti orgiastici. Apparizioni mistiche e folli vestiti da preti, una fucilazione del Papa, una scuola i cui alunni scagliano anatemi verso i miscredenti e così via in un crescendo di criptica visionarietà , sfrontato arzigogolio intellettuale e libera invenzione creativa. La struttura a siparietti e continuamente spezzata nella forma, frantumata nei dialoghi assurdi frutto di libere associazioni di pensiero, come se Bunuel avesse adattato le parole ad immagini evocative più che ad una reale sceneggiatura fatta di tempi, di struttura, di coerenza narrativa. Una gigantesca macchia di Rorschach fatta di materia religiosa re interpretata di getto, liberamente, laicamente e senza riguardo alcuno alla convenzione del linguaggio cinematografico, sottomessa ad incomprensibile associazioni mentali e dialoghi assurdi. Proprio questa disorganizzata costruzione della pellicola però risulta coerente e alla fine di tutto perfettamente in linea con l’argomento (bis)trattato. Si assiste infatti allo smembramento di tutte le certezze acquisite mediante frantumazione sia della esegesi della storia, che storia non è e toglie ogni punto di riferimento allo spettatore, sia relativamente all’oggetto del film, la Religione Cattolica, aperta e sviscerata, vista da punti estremi coincidenti per cui, nella pur lentezza a volte esasperante e nella difficoltà oggettiva nel seguire le digressioni teologiche dei personaggi, ci si abbandona semplicemente ad esse, lasciandosi trasportare dal flusso delle immagini e dal loro sconclusionato incedere. Vinta definitivamente la resistenza della razionale interpretazione degli eventi, divelta la certezza delle conoscenze e dei miti che affollano la mente di ogni buon cattolico, scalzata la fede che impedirebbe di assistere ad una simile messa in scena, ovvero una volta Liberi, affiora quindi dalla coscienza perduta, quella atavica che ci portiamo dentro a livello di profondo inconscio, il sospetto di avere visto qualcosa che già si conosce, una verità diversa che avvertiamo esserci stata estirpata in secoli di oscurantismo cattolico, una possibilità in più, un modo differente di intendere le cose. Abbandonarsi a qualcosa che non si capisce del tutto, come questo film ad esempio, in fondo in fondo è un atto di fede e Bunuel, ateo per grazia di Dio, questo lo sa bene.

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