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La grande guerra

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su La grande guerra

di lamettrie
9 stelle

Un film epico, sulla guerra, dalla parte degli umili. Le convinzioni socialiste di Monicelli (autore anche di soggetto e sceneggiatura, con Age e Scarpelli) trovano qui una precisa applicazione al tema più infame, quello bellico. Quattro anni dopo, nel ’63, troveranno applicazione al tema del lavoro, da parte del regista romano, che in queste opere tocca i massimi livelli tragici (come anche ne “Il borghese piccolo piccolo” del ’77), mostrando una completezza rara, se letta alla luce del grande registro comico che prevalentemente ha frequentato, anche con risultati ugualmente strepitosi.

Film commovente: antimilitarista, lascia balenare l’insensatezza della guerra, l’assurdità di tanto dolore, morte, sofferenze inaudite per un motivo che non sta in piedi, e che non si qual è. Il (qui) anarchico Gassman denuncia tali ingiustizie con il linguaggio del popolo, ovvero delle vittime: la colpa è dei “pescecani”, quei ricchissimi che sono gli unici a trarre vantaggio dalla guerra; non rischiano nulla, e tutti gli altri rischiano l’inverosimile per i loro guadagni, e oltretutto nel migliore dei casi non ci guadagneranno nulla. La freschezza di questa presa diretta, sul campo, nel dare voce ai protagonisti che non hanno voluto questo macello, ma l’hanno solo subito, è riuscita. Chiara è la denuncia della retorica e delle falsità del regime, quella che raccontava di successi brillanti e schiaccianti, poco faticosi, per non rendere ulteriormente inaccettabile una guerra che incettabile era, come tutte le guerre in cui non c’è chiaramente ed esclusivamente da difendersi e c’è la leva obbligatoria.

L’opera è lunga (2 ore e un quarto), ma non annoia mai. Il cameratismo è reso in modo vivace, autentico, unico, nel mettere in  mostra le vittime della guerra dei potenti. Ciascuno di questi poveracci ha la propria storia, e i tratti commuoverti sono ben evidenti e mai eccessivi, spesso segnalati dalla tematica amorosa (l’analfabeta che si fa leggere le lettere d’amore, la tresca tra Gassman e la prostituta, una perfetta Mangano). Di grande finezza psicologica è qui il tema della menzogna: in questi casi estremi, i personaggi non si sentono di dire verità atroci a chi le dovrebbe sentire (alla vedova inconsapevole di esserlo, al fidanzato tradito e lasciato a centinaia di  chilometri di distanza…).

La coralità della vicenda è ben sostenuta dalla colonna sonora di Nino Rota, dalle scenografie, dalla splendida recitazione corale. Le scene di guerre sono ben rese, in tutta la loro crudezza: mutilati, morti e morenti sul campo, urla di chi si deve far amputare arti… nulla di vero manca a un’opera che non è per niente semplicistica. Infatti i personaggi vengono mostrati per le miserie che portano, e che in realtà sono, con tutti i loro difetti.

Straordinaria la prova congiunta di Gassman e Sordi: con Gassman, pieno di vitalità a eclissare parzialmente Sordi, che una volta tanto veste i panni del comprimario. Notevole, anche negli aspetti comici, la loro messa in scena dell’italiano medio, furbo, individualista, che comunque ha uno scatto di dignità alla fine. In un mosaico di popoli quale quello italiano, da apparire addirittura multietnico, tante erano le differenze regionali che toccavano i ragazzi costretti ad andare al fronte.

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