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Ultimo tango a Zagarol

Regia di Nando Cicero vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ultimo tango a Zagarol

di vincenzo carboni
8 stelle

La parodia (assenza d’opera) che si fa opera, rendendo l’originale a cui si ispira quasi l’oggetto parodistico: ecco il genio di Zagarol. La sfida è stata quella di eccedere ‘Ultimo Tango’ sul suo stesso terreno, quello del tragico. Franchi fa il verso a Brando rinunciando alla smorfia (così giustamente divenuta ingombrante per il proprio compagno d’armi Ciccio), misurandosi sullo standard di Brando a tal punto da superarlo sul registro drammatico, eccedendo cioè il modello e –guardandosi alle spalle- scoprendo di trovarsi su di un terreno deserto, senza pubblico a cui strappare una risata, in un vuoto immenso, creando egli stesso il vuoto di un mondo desolato di cui ci fa supporre l’esistenza con i suoi occhi stralunati, smarriti, picareschi. Questi occhi riescono a stabilire un rovesciamento dello sguardo: sono loro a guardarci, a chiederci dove siamo, noi e lui. In un cinema? Nello studio di una chiromante? Nello spazio inconoscibile del desiderio? Comunque in un deserto. Ecco lo spaesamento che pur turbando il personaggio di Franchi sullo schermo, diverte noi, ma in maniera così strana da restarne smarriti, inaspettatamente depressi, esattamente l'opposto di una aspettativa eccitata di sicuro divertimento a base di smorfie benchè grandiose. Noi guardiamo il posto vuoto lasciato da quelle smorfie, che si fa macchia mimetica, che non si presta più ad intercettare lo sguardo del pubblico, a sollecitarlo, ma a lasciare che si aggiri nello spazio scopico aspettando di trovare il suo incomodo posto. Forse il pubblico si nasconde dietro il lenzuolo, è una presenza minacciosa ma che si tiene celata, il moloch che aspetta di entrare in scena per mangiare le viscere degli attori, dell'unico attore, esattamente come il pubblico televisivo vuole verità, e per questo chiede che il molo(ch)sso sbrani effettivamente il povero per provare che sa dintinguerlo dal ricco. Per Franchi l'ideale inumano sarebbe recitare in un teatro vuoto, in una piazza deserta di una città fantasma, in un appartamento topaia popolato -appunto- solo di topi. Per Franchi Zagarol è il dover dar conto del proprio -inaspettato a sè stesso- talento: finalmente non dover necessariamente provocare una reazione nell'Altro (risate o applausi), e fare finalmente un forno, cioè -in gergo- un teatro vuoto. Solo allora -dice Carmel Bene- si può essere soli, avere come corrispondente non l'Altro ma il vuoto che si fa di sè stessi (le misteriose voci di dentro). Zagarol mi fa nostalgicamente desiderare di sentire quelle voci a cui fa appello Franchi recitando alla maniera di Brando senza farne una grandiosa caricatura come in Walter Chiari, ma eccedendolo. Franchi riesce a produrre uno choc su un pensiero che si assenta dovendo il pensatore porsi di fronte a Franco e Ciccio (pur senza Ciccio), in modo tale che lo spettatore rivestendo a casa propria i panni del suo stesso pensiero dopo lo spettacolo si ritrova stretto in esso, costretto nella perfetta solitudine del pensiero, a tal punto da non poter dire cosa ha visto, non poter raccontare una storia perchè la storia non c'è. Con Zagarol siamo noi a cercare il nostro personale pensiero smarrito chissà dove, forse in qualche diverticolo intestinale, un pensiero legato alla pulsione probabilmente, che anzi cerca la pulsione come forma espressiva non esistendo le parole per essere detto. Zagarol è un film inquietante perchè rende caotico il nostro personale ma sociale registro di lettura del segno filmico. Si ride ovviamente molto in Zagarol ma il riso in questa zona franca si fa veramente vicino alle lacrime, sia per eccesso sia perchè il tono è tanto triste da lasciarci incantati, di un incanto che ci permette di scegliere il registro (Tragico? Comico?) in cui collocare il nostro umorale/umoristico stato mentale. Zagarol ancora di più decostruisce l'oggetto del film di Bertolucci, lo depriva fino a rovesciare il senso nel suo contrario, tanto da lasciare solo a Franchi il compito di cercarlo senza trovarlo (non si può cercare a Zagarol ciò che Brando non trova a Parigi), anzi prefigurando nel burro una sorta di parola-baule capace di abitare due sensi nello stesso tempo: burro-cibo e burro-lubrificante. Non si può fare del burro un espediente erotico senza pancia piena. Qui sta tutta la differenza tra Bertolucci e Franchi. Il primo anima personaggi sazi il cui vuoto è una angoscia di vivere che ha risolto il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, che ha sconfitto la necessità. Franchi è sovrastato dalle due necessità insieme che bussano alla porta allo stesso tempo. Il cinema di Franco e Ciccio nel fondo è sempre lo stesso film sulla necessità di mangiare, di fare sesso come bisogno primitivo di accudimento per sè, di continuare a fare cinema, di tenere quindi la necessità sotto controllo. Ma questa necessità in Zagarol è curiosa e tragica, comunque sublime nel tentativo inconsapevole di arrivare a fare capolavoro pur mancandosi nel momento di compiersi. Straordinario.

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