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Ultimo tango a Zagarol

Regia di Nando Cicero vedi scheda film

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La recensione su Ultimo tango a Zagarol

di sasso67
6 stelle

Parlando degli albori del cinema comico italiano, Enrico Giacovelli scrive (in" Non ci resta che ridere. Una storia del cinema comico italiano", Lindau, 1999) che i film comici «parlano di cose vere e concrete, che esistono senz'altro, come le torte in faccia e le cadute dalle scale». Ciò vale anche per "Ultimo tango a Zagarol": così come "Ultimo tango a Parigi" (del quale, a mio parere, si sarebbe parlato molto meno negli ultimi anni, se non fosse stato per le note vicende censorie e giudiziarie) lasciava trasparire le tematiche della solitudine, dell'incapacità a comunicare tra i sessi, del male di vivere, la tematica del film di Nando Cicero è sostanzialmente una, che più concreta non si può: la fame. Franco ha semplicemente fame, prima di tutto di cibo, che quasi non si regge in piedi, e poi di sesso e d'affetto. E la parodia di "Ultimo tango a Parigi" non poteva che essere così, tutta basata sugli appetiti "materiali" del protagonista, il quale, grazie all'incontro con la bella sconosciuta, riesce a saziare il proprio bisogno d'amore carnale, ma non riuscirà a mangiare finché non l'avrà immobilizzata e non riuscirà a dormire su un vero materasso se non dopo che la ragazza se n'è andata dalla sua vita. Perfino i ragazzini poveri non possono fare altro che immaginarsi, nei loro giochi, di essere bambini ricchi, fingendo di fare la cacca, appunto, come bambini ricchi, che hanno fatto un lauto pasto da digerire. Franco, peraltro, una volta fuggito dall'alberghetto - lager della moglie, si guadagna da vivere facendo l'attore per una regista intellettuale che finge di girare film verità, nei quali Franco deve recitare i più svariati personaggi e, alla fine, la regista lo farà aggredire da animali feroci (una volta un molosso e un'altra addirittura un coccodrillo che lo fa fuggire a nuoto nelle acque fetide del Tevere), con effetti da comica finale, che è ciò di cui parlava il Giacovelli citato all'inizio di questo commento.
La mia impressione è che chi ha fatto un culto di questo film dovrebbe dirigere le proprie attenzioni su ben altri oggetti cinematografici. Anche perché sul film di Cicero si riverbera la noia, che era elemento, forse programmatico, del film di Bertolucci. E tuttavia va detto che Franco Franchi che si aggira per Roma col cappotto di cammello che aveva caratterizzato Marlon Brando produce effetti oggettivamente comici, così come alcune mimiche che riportano all'interpretazione enigmatica dell'attore americano. Riusciti anche i duetti tra il protagonista e un divertente Nicola Arigliano.

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