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I soliti ignoti

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I soliti ignoti

di jonas
10 stelle

Insieme a Il sorpasso, è il vertice assoluto della commedia italiana. Ma se il capolavoro di Risi, nell’ultimo anno del boom, registra un mutamento antropologico ormai avvenuto, qui siamo ancora ai primi filamenti della cellula in via di formazione: niente nuovi ricchi e relativi parassiti, ma una raffazzonata banda di ladruncoli che si sforza di operare in modo professionale (“sc-, scientifico”, come ripete l’impagabile Peppe er Pantera) per fare il colpo che dovrebbe garantire il salto di qualità, l’ingresso nell’imprenditoria criminale. Però i nostri eroi non sono criminali, sono solo poveracci alle prese con le difficoltà di un dopoguerra che sembra non finire mai e che tuttavia sta per finire: questo non è Giungla d’asfalto, con la grandezza tragica dei suoi eroi negativi, ma appunto il rovesciamento comico del filone ‘rapina andata male’. I segni dei tempi nuovi, sotto la forma di altrettante prese di distanze da un mondo che si avvia a un rapido invecchiamento, sono dovunque: la servetta si vergogna di dichiararsi tale (mentre invece, per dire, la Delia Scala di Roma ore 11 o la Irene Galter de Il sole negli occhi si ribellano a padroni prepotenti, ma non mettono in discussione il proprio status di sottoposte); il giovane cresciuto nell’orfanotrofio (luogo topico dei melodrammi alla Matarazzo) si vergogna di dirlo; la siciliana si innamora di chi non dovrebbe e finisce per non accettare un matrimonio combinato (sorella maggiore della Ragazza con la pistola di dieci anni dopo). Un film perfetto, nell’insieme come nei particolari: non solo i ‘capitani’ Gassman e Mastroianni, ma anche (e forse soprattutto) i caratteristi Murgia e Pisacane, senza dimenticare la giovane Carla Gravina abbordata per strada con un trucco esilarante (“Beh? e dove credono d’essere, in Abissinia?”), l’ex capo Memmo Carotenuto finito a scippare vecchiette, le tre ‘mamme’ di Salvatori (fra cui la sora Lella); un film che si permette il lusso di usare Totò come ciliegina sulla torta, come lievito per la pasta. Fino all’onesta ammissione che certe cose è meglio lasciarle ai protagonisti noir, agli Sterling Hayden: “Rubare è un mestiere impegnativo: ci vuole gente seria, mica come voi. Voi al massimo potete andare a lavorare”. Di qui il finale blandamente moralistico, tipico del neorealismo rosa, ossia di un’epoca in cui si poteva ancora credere alla moralità del lavoro. Per ora lasciamo Gassman mescolato agli operai di un cantiere; ma sappiamo già che lo ritroveremo fra qualche anno, cinico e strafottente, alla guida di un'auto sportiva sul litorale tirrenico.

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