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I migliori anni della nostra vita

Regia di William Wyler vedi scheda film

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La recensione su I migliori anni della nostra vita

di Baliverna
9 stelle

Tornano alle proprie case con la palma del trionfo, ma quante difficoltà hanno ancora da affrontare!

È una bellissima pellicola sul problema del difficile reinserimento nella vita di ogni giorno dei reduci di guerra, quand'anche essi ritornino vittoriosi (figuriamoci come fu per gli italiani che tornarono sconfitti).

È diretta da un maestro del cinema classico di Hollywood, cioè William Wyler, uno di quei registi su cui si può contare praticamente ad occhi chiusi. Il gruppo degli attori – ci sono vari personaggi ma nessun protagonista – vanta solo due nomi famosi, cioè Myrna Loy e Dana Andrews: la prima aveva fatto faville negli anni 30' con le commedie brillanti, mentre il secondo proviene soprattutto dal noir. Gli altri sono poco noti o sconosciuti, ma cionondimeno bravi.

La sceneggiatura definisce tutti i personaggi in modo realistico e convincente, sia per quanto riguarda i reduci stessi, che coloro che la guerra l'hanno vista solo nei cinegiornali. Il film ci fa vedere come il ritorno a casa, benché vittoriosi e gioiosi, prepara per ciascuno di loro non poche difficoltà, sia quanto agli affetti e ai rapporti familiari, che quanto al reinserimento nel mondo del lavoro. Se le famiglie – fatte le solite eccezioni – li attendevano con impazienza, non così la società e il mondo del lavoro, i quali mostrano indifferenza e persino, in certi casi, ostilità.

Infine, i mutilati devono affrontare un reinserimento sociale ancora più difficile. A questo proposito, la sceneggiatura fa emergere, con intelligenza, che il problema degli invaliti di guerra, più che la menomazione e le sue conseguenze nella vita pratica, è la compassione lacrimevole e l'imbarazzo di coloro che se li trovano davanti. È forse questo che li ferisce più di tutto e li fa sentire inferiori ed esclusi. Invece, con un po' di buona volontà e con l'aiuto disinvolto dei propri cari, essi possono condurre una vita quasi normale.

Se da una parte questo film guarda ai veterani di guerra con rispetto e gratitudine per l'opera svolta (la sconfitta del nazismo), riflette, dall'altra, su certi risvolti della II Guerra Mondiale che esulano dalla retorica e dalla versione ufficiale. Mi riferisco, ad es., ai bombardamenti a tappeto che gli Stati Uniti vollero fare su molte città tedesche quando ormai la Germania aveva già perduto la guerra. Forse sono proprio questi massacri di civili che determinano il malessere dell'aviatore (Dana Andrews), il quale sembra soffrire proprio di coscienza dubbia in merito a quei bombardamenti. Il tutto viene comunicato allo spettatore con accenni e allusioni, una tecnica sottile, che è difficile mettere a punto. Secondo me, tuttavia, essa è efficace. Forse non si voleva puntare troppo il dito verso la gestione del conflitto da parte del governo americano, ma il messaggio risulta comunque chiaro. Infine, c'è anche un incubo ricorrente che turba l'aviatore, senza che venga chiarito di cosa si tratta esattamente; ciò rafforza l'alone di ambiguità su quanto già esposto sopra.

Siamo in presenza di buon cinema: ben fatto tecnicamente, e portatore di nobili valori, istanze, e prospettive. Il tutto con mezzi abbastanza limitati.

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