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Break Up

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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La recensione su Break Up

di maldoror
7 stelle

Un'opera che anticipa tutto il cinema futuro di Ferreri, dal punto di vista tematico e stilistico. Alla fine della recensione, un divertente resoconto di Ferreri sulle tribolate vicende produttive e distributive del film, che rende anche relativamente giustizia alla figura di Carlo Ponti, forse un po' troppo bistrattata.

Dopo svariate vicissitudini, sono riuscito a vedere finalmente questo "Break-up" nella versione integrale, uno dei pochissimi che ancora mi mancavano del repertorio ferreriano.

L'impressione che mi ha lasciato è quella di un'opera importante in quanto anticipatrice, dal punto di vista tematico e stilistico, degli sviluppi della poetica del regista milanese che avrebbero trovato pieno compimento in quella che forse è l'opera della maturità di Ferreri, cioè "Dillinger è morto". E visto che le recensioni qui presenti son davvero pochine, ritengo non sia inutile provare ad arricchire questa sezione con alcuni spunti forse ancora neanche affrontati, fra cui il resoconto (peraltro esilarante) fatto dallo stesso regista su una parte delle travagliate vicende alla base delle difficoltà produttive e distributive cui il film è andato incontro (resoconto che verrà riportato alla fine di questa recensione).

 

 

Cominciamo col dire che al centro dell'opera c'è il bisogno ossessivo, da parte del protagonista, di calcolare "scientificamente" quanta aria possa entrare in un pallone prima che questo esploda: "Voglio sapere fino a che punto questo pallone si può gonfiare, perché se io smetto di soffiare e dentro c'è ancora dello spazio, il mio è un fallimento! Quindi il problema è semplice ma è grave allo stesso tempo, perché se io non ci riesco, dentro sono un fallito morale!".

 

Ma cosa si nasconde realmente dietro questo bisogno?

 

I ritmi ossessivi dei macchinari che aprono il film, e che vengono poi riproposti nei ritmi tribali e altrettanto ossessivi della danza nella lunga sequenza a colori del "locale dei palloni", uniti al fatto certo non casuale che il protagonista sia un industriale, sembrano condurre verso una possibile risposta: l'ossessione per la capienza del pallone, potrebbe non essere altro che l'ossessione per l'efficienza del meccanismo produttivo, e quindi il terrore dello spreco, dello scarto, indotta dal modo di produzione capitalista.

 

Il problema che ci si pone, insomma, è: se io non riesco a sfruttare al massimo tutte le potenzialità del "macchinario-pallone", se non riesco cioè a sfruttarne tutta la capienza fino al punto massimo di sopportazione, sono un "fallito morale". Una "morale" che pare aver molto in comune con la tayloristica "organizzazione scientifica del lavoro", in cui ogni spreco viene considerato appunto immorale.

 

Ecco quindi che per la prima volta nel cinema di Ferreri viene introdotto il tema dell'alienazione capitalistica, e con essa tutta una serie di conseguenze sul versante dell'immaginario e su quello stilistico: la sequenza a colori del "locale dei palloni", oltre ad essere una probabile parodia dell'immaginario felliniano (parodia che si può ritrovare anche nella sopra citata scena della sauna, in cui un Mastroianni delirante chiede risposte e conforto all'amico ingegnere, così come nella sauna di "Otto e mezzo" sempre Mastroianni si rivolge al cardinale decrepito, anche se per questioni decisamente più "alte"), mostra per la prima volta l'interesse di Ferreri per l'immaginario psichedelico, optical e pop o new-pop (già dal successivo "L'harem" Ferreri si servirà dei contributi visivi di Mario Schifano), visti come esempio della nuova estetica edonistico-consumista, con tanto di retrogusto "acido".

Dal punto di vista dello stile, invece, comincia ad intravedersi l'influenza dell'amico e maestro Antonioni nelle lunghe sequenze in cui Mastroianni e Catherine Spaak si parlano senza dirsi niente, o al massimo mugolano, si toccano, si avvicinano, si allontanano, in una inquietudine e incomunicabilità che non si può più esprimere coi dialoghi (verso i quali Ferreri ha ammesso di aver sempre nutrito una particolare idiosincrasia), ma col movimento del corpo in scena.

 

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Detto questo, mi sembra il caso di riportare il divertente aneddoto raccontato dallo stesso Ferreri in una delle sue ultime interviste (facilmente reperibile su youtube) relativo ai problemi produttivi e distributivi cui il film è andato incontro, aneddoto che rende in parte giustizia alla figura di Carlo Ponti, forse un po' troppo bistrattata:

 

"Ponti, siccome io ero milanese, poi aveva visto "L'ape regina" (...) mi aveva detto "tu sei un grande regista internazionale, poi vieni dal nord, sei il più grande regista che viene dal nord"...gli piacevano molto le cose che facevo. (...) Poi dopo lui aveva un contratto per fare un film con Levine (Joseph Edward Levine, produttore statunitense), quello che aveva i rapporti con gli italiani e anche con Ponti (...), e aveva un contratto per fare un film su Casanova con Marcello Mastroianni. Poi però a Carlo Ponti Marcello non gli piaceva in quanto non aveva fatto Casanova, e allora gli è venuta l'idea geniale di cambiare "Casanova" con il film "L'uomo dei cinque palloni" da dare a Levine, che gli aveva già dato anche i soldi. Allora mi ha detto "fai...". Ho fatto il film, lui mi ha detto "ah, bello, grande", è piaciuto molto a Mastroianni e tutto. Dopo aver fatto il film, quando gliel'ha voluto vendere a Levine quello voleva ammazzarmi, a me e a lui. Andava in giro, ci inseguiva per il Grand Hotel, nei corridoi. Mi ricordo che stava in mutande con una spilla balia per non fargli uscire i coglioni, camminando per i corridoi del Grand Hotel. Allora quello non solo non ha preso il film, ma rivoleva indietro i suoi soldi. Allora del film non si è parlato più; ed è stato tagliato perché in quel momento avevano la mania di fare gli sketch".

 

 

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