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La legge della violenza

Regia di Gianni Crea vedi scheda film

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La recensione su La legge della violenza

di scapigliato
8 stelle

Per tutti è il miglior Gianni Crea possibile. É il suo primo western, e primo lungometraggio, prodotto da una conoscenza di Almirante del MSI, anche se la firma è poi quella di Paolo Borruto della Meridionale Cinematografica. Scritto e prodotto anche dallo storico Alfonso Balcázar, che lo farà girare nei suoi studi, il film di Crea è ascrivibile a quegli spagowestern borderline, la cui bizzarria e atipicità non si capisce se siano involontarie o fortemente volute. Protagonista è Giorgio Cerioni, celebre per i porno-nazi a venire, ma anche per illustre collaborazioni con Zurlini e Damiani. Un attore bello, ma di legno, che si muove come una statua di gesso. Dal fisico giusto, bene in parte per i primi piani e in generale nel coté ambiguo in cui Crea lo infila, il Cerioni perde punti nelle scene d’insieme, nella gestualità, nella recitazione, nei movimenti e nelle camminate. Anche l’altro protagonista, Ángel Aranda, non esalta per fisicità e trasporto. É proprio la regia invece a farsi notare, cosa insolita per un Gianni Crea, responsabile di film semi-inguardabili come “...e il Terzo Giorno Arrivò il Corvo” e “I Sette del Mucchio Selvaggio”. Forse, con il senno di poi possiamo dire che nella puerilità antologica dei suoi film risiede una magia impalpabile, sicuramente involontaria, che ne alzano obiettivamente il culto. Situazioni rarefatte, personaggi tagliati malissimo senza capo né coda, ma per questo completamente e piacevolmente outsider, oppure l’insostenibile modulazione narrativa e la messa in scena infantile, tipo parrocchiale. Difetti, questi di Gianni Crea, che ahìlui si trasformano purtroppo in cifra autoriale. Anche qui, che è l’incipit del suo cinema, assistiamo ad un personaggio, il Cerioni, che arriva a Red Rock per sfuggire a qualcuno, ma che in realtà vi arriva per avere la sua parte di denaro che il nuovo sceriffo interpretato da Gaspár “Indio” Gonzales non vuole dargli. Già questa imprecisione, questa pochezza di coesione narrativa è il paradigma di tutta l’incertezza del film. Ma non solo, il film sembra infatti mutilato di passaggi fondamentali, la cui assenza è avvertibile. Ci stà anche che nulla sia stato tagliato, ma che la discontinuità del flusso narrativo sia da imputare allo stesso regista, forse anche agli autori. Resta però un film che, proprio per queste incompetenze, suscita grande ammirazione in passaggi ispirati come la spiazzante scena al cimitero dove i sbagliatissimi tempi scenici e le facilonerie di testo e recitazione riescono a creare una messa in scena “altra”, spiazzante; oppure in scene come l’uccisione dello sceriffo a suon di frustate, o il tentato stupro-incesto del fratello alla sorella che ne resterà offesa cerebralmente, e soprattutto il gran bel duello finale. Anche qui non ci dobbiamo chiedere grandi perchè, le spiegazioni sarebbero inutili. Vale la pena goderi semplicemente la suggestione visiva della scena, dal passo tragico, che chiosa tutta l’incomprensibile incertezza del film, sia come testo filmico, sia come racconto. Resta un grande cult proprio per questi suoi aspetti e difetti in cui vengono frullati temi non facili come l’incesto, la violenza (peraltro per nulla esibita), l’ambiguità sociale, l’impotenza del protagonista in cui lo spettatore dovrebbere identificarsi ma non ci riesce, l’isteria di fondo che serpeggia nei personaggi femminili, turbe sessuali e psichiche.

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