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Agente 007. Vivi e lascia morire

Regia di Guy Hamilton vedi scheda film

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La recensione su Agente 007. Vivi e lascia morire

di maso
5 stelle

 

Ottavo film della serie e terzo avvicendamento nel ruolo del protagonista che sarà però anche l'ultimo per ben dodici anni, infatti dopo il passaggio alternato fra Connery e Lazenby che concluse gli anni sessanta ed aprì i settanta con l'improponibile "Diamonds are forever" la EON si rese conto che l'epoca di Connery era ormai tramontata e OO7 aveva bisogno di una faccia nuova ma allo stesso tempo affermata, la scelta ricadde sul britannico Roger Moore che aveva dimostrato caratteristiche adeguate alla parte nel serial TV "Il Santo", l'attore si distinguerà per la sua longevità interpretando in ben sette pellicole il ruolo della super spia con licenza di uccidere ma risulterà essere anche il più contestato per il suo approccio scherzoso alla parte che gli farà prendere l'appellativo di "The funny Bond", lui stesso dichiarò che l'interpretazione di una spia che si presenta in tutti gli angoli della terra e viene riconosciuta come tale non può che assumere dei toni goliardici e la produzione si adeguò fornendogli copioni sempre più leggeri e sempre più contaminati dai generi in voga al momento, già in questo film Bond si scontra con una gang di afroamericani che trafficano droga e praticano riti vodoo nella loro fittizia isola caraibica di San Monique evidenziando una innegabile derivazione dal genere black exploatition in voga negli states in quegli anni tanto che la missione di Bond prende vita proprio a New York, il risultato è un film di una goffaggine imbarazzante che ha si il nome del secondo storico romanzo di Fleming ma ne riporta solo alcuni episodi e personaggi stravolgendone in parte la struttura.                     

Che cos’ha allora questo film che va e cosa che non va nei punti chiave che definiscono un film di OO7?                    

Tre cose positive: i nemici capitanati da un massiccio Yaphet Kotto come Kananga, seppur ben riconoscibile nella parte del doppio Mr Big è un cattivo di personalità ed è circondato da minacciosi e inquietanti scagnozzi primo fra tutti il Barone Samedi incarnato dal gigantesco Jeffrey Holder con quella risata a 42 denti che turba il sonno, qualche sequenza spettacolare come l’inseguimento sui motoscafi nella palude o lo stunt sui coccodrilli entrambi sovraccaricati da aperture esilaranti che diventeranno una costante nell’era Moore, una superba title track firmata da McCartney da considerare fra le migliori mai ascoltate nella serie con il suo incedere rock contaminato dalle sonorità tipiche bondiane, per il resto “Live and let die” è veramente sconclusionato nei punti cardine di un film non solo di genere, in primo luogo la sceneggiatura stracolma di buchi per non dire voragini che fan saltare Bond da un capo all’altro della trama senza un filo logico, Hamilton dopo la pessima prova del film precedente continua a non far niente per rendere interessante il suo operato, al contrario alcune sequenze sembrano riciclate dai migliori episodi di Scooby Doo il che è tutto dire, i personaggi di contorno sono poveri e per niente memorabili: Michael Edison è indubbiamente il miglior Felix Laiter dell’intero lotto ma il suo personaggio è poco presente nella trama mentre lo è la Bond girl Solitaire interpretata da Jane Seyemour, purtroppo la sua legnosità è imbarazzante pesantemente evidenziata dal fatto che fosse il suo primo film e la sua verginità carpita da Bond ben chiara nel libro risulta un dettaglio su cui la sceneggiatura non pone nessuna attenzione e nessuno sviluppo se non una incomprensibile ribellione nella scena dell’aeroporto, lo sceriffo G.W. Pepper è una macchietta divertente che lo specialista Clifton James rende alla perfezione ma appare parecchio fuori luogo se non per il fatto che ormai Bond sta diventando una parodia di se stesso nelle impennate di sopracciglio di un Moore non convincente a metà strada fra il suo nuovo ruolo e Simon Templar e la scena iniziale in cui M e Money Penny gli consegnano un orologio multiuso di seconda mano e lui stesso viene introdotto senza un minimo di preambolo e pathos al contrario di tutti gli altri che lo hanno preceduto e lo seguiranno è un po’ il simbolo della pochezza di idee e ispirazione che hanno generato questo film che non rivedo mai con entusiasmo anche a causa dall’invecchiamento malandato che lo caratterizza.                                                            

“Live and let die” continua il periodo nero della produzione EON inaugurato con “Diamonds are forever” che non si esaurirà fino all’uscita nelle sale di “La spia che mi amava” dove Moore sarà finalmente a suo agio nei panni di un Bond cinquantenne e autoironico.

Guy Hamilton

Guy Hamilton vanta a suo favore di aver diretto "Goldfinger", il film più famoso della serie, ma annovera nel suo corollario anche il passaggio fra i due attori più longevi, a detta di molti il più sofferto dei primi vent'anni al cinema di James Bond, una crisi più di risultati che di intenti che sembra niente a confronto del black out di sei anni fra Dalton e Brosnan, con Hamilton hanno continuato a fare film in un periodo di rottura dando seguito alla serie aspettando giorni migliori che poi sono durati cinquanta anni.

Roger Moore

Il Bond interpretato da Moore a me non piace anche se il suo contributo al ruolo ed il suo modo di intenderlo in chiave divertente è una strada percorribile che darà i suoi frutti più avanti nel tempo ed è comunque il primo attore che ho visto interpretare Bond e lo ricordo con affetto peccato che iniziò la sua avventura a quarantaquattro anni di età già molti per un uomo che rivestirà questi panni per quasi quindici anni.

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