Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Blade Runner (1982): Harrison Ford
Torna al cinema in versione restaurata 4K uno di quei vecchi film che non invecchiano mai e, come i Classici, continuano a dirci quello che hanno da dire (Calvino)
Blade Runner, 1982, fantascienza? Mah, forse no.
Quaranta anni fa Ridley Scott l’ambientava nel 2019. Noi siamo andati oltre, e abbiamo visto ben altre navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E’ tempo di morire? Forse sì, o forse il ricordo di tante brutture si perderà come lacrime nella pioggia per lasciare il posto ad altre, e andremo avanti, ciechi che credono di vedere.
Nel ’95 Saramago pubblicava Cecità , cui va il pensiero vedendo Blade Runner.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
Blade Runner (1982): scena
Una Los Angeles ammasso informe di acciaio, fango, sporcizia, grattacieli come torri azteche, il faccione pubblicitario della giapponese che da un enorme cartellone passa e ripassa, e ombrelli, un mare di ombrelli perché non smette mai di piovere.
Dek (Harrison Ford) è un poliziotto di quelli bravi, ormai fuori servizio perciò vestito come capita, un ex Blade Runner che due personaggi con stile e faccia da mafiosi invitano non troppo gentilmente a scoprire ed eliminare quattro androidi dall’aspetto umano (due donne e due uomini) sfuggiti al programma Nexus 6, evasi in giro per la città.
Erano stati creati, è il caso di dirlo, da un ingegnere che l’androide Roy farà fuori partendo dagli occhi (appunto, Cecità) ma prima lo chiama padre, e infatti il padre va ucciso, così raccontano i miti.
Tanto tempo dopo la modernità ne ha fatto un problema giuridico, ma Ian Kott che scrisse Mangiare Dio sapeva quello che scriveva.
Questi quattro androidi vanno eliminati, dovevano vivere quattro anni per non si sa bene quale colonizzazione di altri pianeti, ma ora il programma è fallito (o finito, non c’è chiarezza sul punto) e questi sono scappati perché si sono abituati a vivere e vogliono che duri. Contenti loro!
Dek (da Derek) è quello che li scopre uno alla volta a prezzo di duelli inenarrabili in cui Scott si produce in arditissimi effetti speciali, ma poi si viene a sapere che gli androidi in realtà sono cinque, non poteva mancare il risvolto sentimentale e lui ne sta salvando una, Rachael (Sean Young), perché fra loro è nato l’amore.
Incredibile? Neanche tanto, secondo alcuni esegeti di un film che ha scatenato plotoni di critici, anche Dek sarebbe un androide, e dunque.
Noi non lo crediamo, umano e disumano possono incontrarsi e vivere felici e contenti, anche se, chissà, una frase finale mette qualche dubbio:
Se questa è vita…
Quaranta anni e le profezie si stanno avverando, clima, guerre, respingimenti, città massacrate da orde barbariche e tanto altro. Oggi Ridley Scott non può che rallegrarsi con sé stesso, aveva previsto tutto.
Allora il film si attirò tante critiche, il botteghino languì, ma poi, come spesso accade, divenne un cult , un’icona del cinema, e questa è cosa buona e giusta, è un film di stratosferica bellezza in tutte le sue parti.
Partiamo dal pezzo migliore: Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.
E’ il monologo dell’androide Roy, mentre una pioggia maledetta, fredda e greve sgocciola dai suoi capelli biondi.
Per lui Rutger Hauer (un caso da fuori-mondo, è morto proprio il 19 luglio 2019) coniò queste parole, meritando di sedere tra gli sceneggiatori.
Il suo monologo riassume tutti i sensi del film, e se un parallelo vogliamo farlo pensiamo a Ulisse, da Omero a Dante, fino a Joyce, è andata proprio così, mutatis mutandis.
La spalla della costellazione di Orione, la mostruosamente grande stella Betelgeuse, una supergigante rossa variabile a 600-650 anni luce da noi, la seconda stella più luminosa della sua costellazione e la decima più luminosa del cielo notturno, visibile alle nostre latitudini durante l'inverno (traggo dal web) ormai è un must, mentre di Tannhäuser sappiamo poco, e Wagner non c’entra.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick era il testo base.
Cosa ci racconta dell’umanità la fertile immaginazione di Ridley Scott?
Sogni, ricordi, vecchie foto ingiallite e avveniristiche prospettive architettoniche, centri urbani fatiscenti, promiscuità, violenza, visionari che creano giocattoli parlanti, e poi tanto buio, il sole è morto, il futuro è già passato, è un retro-futuro in cui vivere è come morire, cose entrambe difficili, ma entrambe oggetto del desiderio.
I duelli di Dek con i replicanti hanno fatto scuola, ma in Blade Runner toccano vertici di poesia visiva, mentre la musica di Vangelis li segue e li commenta con potenti pieni orchestrali.
La colonna sonora del compositore greco, che nel 1982 era fresco di un Academy Award per Chariots of Fire (Momenti di Gloria), è il credito maggiore del film, a nostro modesto avviso.
Proviamo ad immaginare Blade runner senza Vangelis. Assurdo.
Cosa ci lascia questo film che bisogna vedere sul grande schermo, ogni schermo surrogato è un insulto alla sua grandezza visionaria?
Tanta, inesprimibile malinconia. Non abbiamo visto solo un gran film, ci siamo guardati allo specchio e ci siamo visti decisamente brutti.
Tornerà un Cristo a salvarci? Difficile, dopo duemila anni dall’ultima volta ha deciso di lasciar perdere.
www.paoladigiuseppe.it
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