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Diario di un vizio

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Diario di un vizio

di ed wood
9 stelle

E' l'opera di un poeta senza dubbio. Uno degli ultimi del nostro cinema. C'è la consuetudine, fra i critici, di snobbare o biasimare l'ultimo Ferreri, considerato ripetitivo, banale, addirittura volgare. Niente di più falso. Gli ultimi film di Ferreri, diciamo quelli degli anni 80 e 90, sono indispensabili per chiarire ed approfondire (alla luce della mutata società post-femminista) la tematiche-cardine del suo cinema: l'uomo solo, inetto e sconfitto, fagocitato dall'immagine di una donna il cui corpo è vissuto come una droga, un ossesione, praticamente l'unica certezza del rapporto, una volta eliminati i sentimenti, i valori spirituali, morali, sociali, una volta rimasta solo quella "bontà d'animo" che gli uomini riconoscono alle donne di cui sono infatuati. A un certo punto, Benito nel suo diario va in tilt perchè non riesce a tracciare un confine tra la bontà e la "presunta dissolutezza" di Luigia. L'anarchismo dello sguardo di Ferreri si riflette in ogni elemento di questo film: dai comportamenti dei personaggi, che vivono (o desiderano vivere) come in preda agli impulsi più liberi in un limbo fra la degradata realtà metropolitana e il delirio onirico più kitsch (ecco, ancora una volta, il surrelismo nel cinema ferreriano), agli aspetti stilistici. Proprio su quest'ultimo punto, il film dimostra lo statuto di sperimentatore di un Maestro di cinema, la cui tecnica di ripresa e di montaggio troppo stesso è stata superficialmente bollata come "sciatta". "Diario di un vizio" mostra un autore in stato di grazia, alle prese con un cinema iper-moderno, forse già post-moderno, reso vivo e stimolante da uno spericolato crossover di linguaggi: meta-cinema, diario, karaoke, fotografia, letteratura, documentario (indimenticabile incursione della Roma più periferica), persino il wall writing (quella bellissima scritta sul muro: "Ti odierò se potrò, altrimenti mio malgrado ti amerò")...Non si poneva più limiti Ferreri, proprio quando in molti lo davano per finito. E' arrivato vicino a fare il cinema che aveva sempre desiderato: un cinema la cui guida non fosse più un personaggio principale, ma una semplice immagine, un'idea, un'impulso. In questo film si serve infine di uno strepitoso Jerry Calà, interprete quasi commovente del Ferreri-pensiero.

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