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L'albero del male

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su L'albero del male

di cheftony
4 stelle

Il sangue di questo bambino è tuo, adesso. La sua morte ti darà vita. Il ciclo si chiude.”

 

Phil (Dwier Brown), recentemente assunto da un'agenzia pubblicitaria di Los Angeles, si è appena stabilito in California con la moglie Kate (Carey Lowell), la quale dà presto alla luce un bambino.

Kate, brillante arredatrice d'interni, si cala nel ruolo di neo-mamma con piacere, ma altresì decide di rimettersi a lavorare per almeno un paio d'anni, non fosse altro per far quadrare i conti familiari; è per questo motivo che i due sposini si rivolgono all'agenzia Guardian Angel di Santa Monica per assumere una baby-sitter pressoché a tempo pieno.

In mezzo a un nugolo di candidate, spicca per avvenenza e approccio premuroso la giovane inglese Camilla Grandier (Jenny Seagrove), che si aggiudica il posto e stabilisce immediatamente un amorevole rapporto col pupo di appena due settimane.

Quello che i due genitori non sanno è che Camilla, dotata tanto di sguardo magnetico quanto di poteri paranormali, è una specie di druido che sacrifica abitualmente bambini piccoli ad un immenso albero. Il vicino di casa e architetto Ned (Brad Hall) si invaghisce di Camilla, al punto di mettersi sulle sue tracce e destare sospetti sul suo passato…

 

 

Lo sa che dopo le prime quattro settimane il suo sangue si rigenera? Quattro settimane e le sue cellule primitive non esistono più. Sono del tutto uguali alle nostre.”

 

The guardian” (distribuito in Italia con lo scialbo titolo “L'albero del male”) in linea di principio doveva essere una specie di thriller comico, di quell'ironia sghemba tongue-in-cheek che stava facendo la fortuna dell'emergente Sam Raimi, ovvero il regista destinato a dirigere questo film, scritto dall'autore del libro “The Nanny” Dan Greenburge da Stephen Volk. Ma Raimi, trovato un nuovo accordo con la Universal Pictures, finisce col mettersi al lavoro su “Darkman”, mentre la sceneggiatura di “The guardian” viene recapitata sulla scrivania di William Friedkin, negli ultimi anni un po' sparito dai radar e in perenne dissidio con produttori e distributori.

Da questo punto in poi il processo produttivo assume una piega inspiegabile: forse sospinto dalla Universal che non vedeva l'ora di tappezzare i muri con la tagline «From the director of “The Exorcist”», forse invaghitosi della mitologia druidica, Billy Friedkin fa uscire di testa Stephen Volk e mette mano alla sceneggiatura in corso d'opera, trasformando il film in un horror soprannaturale e spogliandolo di ogni ironia. Il salto è breve: dalla baby-sitter ladra di bambini al druido che sacrifica infanti ad un albero gigantesco, peraltro in una nebbiosa foresta infestata dai lupi in piena Los Angeles.

Ma il grosso problema di “The guardian”, che eppure come B-movie sarebbe una dignitosa fiaba nera con troppa carne al fuoco, è che non è un'operetta da poco: la Universal Pictures ci contava parecchio ed è stata ripagata con 17 milioni d'incasso, ma il discreto successo al botteghino non assolve Friedkin, che sembra aver accettato l'incarico esclusivamente per tornare sulla cresta dell'onda; si stenta francamente a riconoscere la mano di un ottimo regista come lui, se non fosse per qualche effimera scena in cui le atmosfere create sfoggiano un loro perché.

In linea di massima, però, il manubrio è poco saldo, anche perché Friedkin è stato considerato per equivoco un regista dell'orrore: premessa scritta e prologo uccidono malamente ogni possibilità di suspense, mentre il climax finale, che degenera in un tripudio di sangue, patisce soluzioni imbarazzanti (cosa non è la baby-sitter che si libra soavemente nell'aere solo in fondo).

Il generoso budget del film si fa sentire solo in parte, con l'ingaggio per la colonna sonora di Jack Hues (cantante dei Wang Chung, già collaboratori di Friedkin per “Vivere e morire a Los Angeles”) e con la squadra addetta agli effetti speciali, talora decenti e talora pedestri, nonché gratuiti. Il cast, privo di nomi altisonanti, fa quello che può, ma la Seagrove - bellezza inglese proveniente dal mondo teatrale e poi finita a fare TV - è piuttosto legnosa e Miguel Ferrer, che ricordo con amore infinito per il ruolo di Albert Rosenfield in “Twin Peaks”, resta in scena pochissimo; degno di nota Dwier Brown che, con tutti i suoi limiti, si sbatte e ci crede, assomigliando (fin troppo) nel finale ad un novello Bruce Campbell con tanto di motosega.

Un pizzico di originalità, che spesso sfocia nell'assurdo, non basta a salvare un prodotto di per sé comunque discreto nell'intrattenere: “The guardian” non è un film degno della firma di William Friedkin.

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