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Il comune senso del pudore

Regia di Alberto Sordi vedi scheda film

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La recensione su Il comune senso del pudore

di lamettrie
6 stelle

Un film condizionato dalla grande diversità di giudizio che impongono i quattro lunghi episodi. Voti: 3 al primo, 4 al secondo, 6 al terzo, 8 all’ultimo. Quanto  meno si va in crescendo: ma la media non raggiunge comunque il 6 pieno; e non si fa certo del male, a non vederlo.

Se si vuole guardare, c’è un  crescendo anche nel mondo sociale di riferimento: si passa dal popolino del primo episodio agli intellettuali borghesi in cerca, nel secondo, di ascesa, grazie alle provocazioni; dalla crema della società locale del terzo, per concludere poi con i massimi livelli del cinema e della cultura impegnata. Un climax sociologico abbastanza evidente quanto interessante (felicemente riassunto nell’ultima scena, in cui appaiono tutti i protagonisti dei vari episodi): mostra che i conti con i propri problemi sessuali li devono fare tutti, indipendentemente dal livello sociale e culturale.

Il primo episodio è banalissimo, e sfrutta troppo la pruderie morbosa, senza dire alcunché di significativo, e facendo finta di denunciarla. Il secondo è ugualmente poco interessante, appesantito dalla triviale interpretazione di Cochi Ponzoni, usato allora per il nome che aveva, del tutto inadeguato però al cinema. Il terzo almeno ha il pregio di denunciare l’ipocrisia bigotta della provincia italiana: dove il cattolicesimo ha messo più radici, i semi della perversione sessuale, o della semplice curiosità incoerente in merito, guarda caso sono proliferati parecchio, non meno che altrove, proprio per un eccessivo senso del proibito e del peccaminoso. L’episodio mostra come tale eccesso sia a sua volta patologico.

L’ultimo episodio è l’unico bello, ma solo negli ultimi 20 minuti: anche qui il crescendo premia il finale, come la tradizione vuole. L’apprezzamento è determinato dalla critica al mondo intellettuale, e perbene in generale. Infatti solo la giustificazione intellettuale permette a tutti (l’attrice, il convegno di intellettuali creato in fretta per lo scopo specifico) di coprire, con la pura apparenza di cui le parole sono capacissime (con la retorica, quindi), quello di cui ci si vergognerebbe: tutti cercano di giustificare in chiave intellettualistica la pulsione sessuale, che pure opportunisticamente degradano a parole. Perché poi lo fanno? Per soldi. I soldi di cui viene ricoperta l’attrice premio Oscar; i soldi che hanno preso evidentemente gli intellettuali per convincerla. Una bugia, coperta da pompose, elevate, finte e labili, e anche grottesche  vesti culturali, permette a tutti di assolversi dalle accuse: in particolare, quella di essere una prostituta. Meretrice o nel senso letterale (come l’attrice deflorata, che proprio per questa aspettativa del pubblico viene strapagata da chi l’ingaggia, e fanno tutti finta di non valutare ciò), o nel senso metaforico, (come gli intellettuali, che mentono per dare ragione a chi li paga).  Quanto è vera  e utile questa critica di Sordi a tanti intellettuali, che sono quasi gli unici ad aver fatto davvero “carriera”, proprio per la loro tendenza alla prostituzione intellettuale. Piace pensare che questo sia un plauso a coloro che non hanno voluto sostenere scientemente il falso e il peggio, anche se ciò è costato loro una immensa, e per loro stessi grave, riduzione degli spazi di tranquillità economica.

Splendida è la scena in cui Noiret prega affinché avvenga il miracolo. E qual è il miracolo? Quello il cui adempimento  gli annuncia il bravissimo Furia: gli intellettuali ingaggiati hanno convinto l’attrice premio Oscar che “l’ingroppata è artistica”. Per cui tale scena pornografica si farà; e (proprio per questo; o meglio, solo per questo) i soldi arriveranno a pioggia (dal pubblico e, in previsione di ciò, anche dai  finanziatori) per questo film, che in realtà ha tutti crismi della modesta più profonda, nonché della volgarità.

Si era 43 anni fa, in quegli anni ’70 in cui la necessità di sana liberazione si confondeva talvolta con licenze anche ingiustificabili; o con la pretesa capacità di poter dire di tutto, tra sperimentazioni e provocazioni, ma senza essere all’altezza delle intenzioni, coperti dalla ricerca del pruriginoso per fare cassetta. Sordi e Sonego non sono qui esenti da quest’ultima critica.

 

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