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Giovannona Coscialunga disonorata con onore

Regia di Sergio Martino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Giovannona Coscialunga disonorata con onore

di sasso67
8 stelle

Uno dei film di culto della commedia italiana anni settanta, ormai entrato nell'immaginario collettivo soprattutto per la citazione nel "Secondo tragico Fantozzi" che contrappone il film di Martino alla "Corazzata Potëmkin". In realtà il film è molto meno volgare di quel che si pensa ed è abbastanza divertente, pur nella scarsa consistenza della trama e negli espedienti da pochade (specialmente nella scena del treno e nella notte passata a casa Pedicò) che gli autori utilizzano per infarcire di gag il film.
La "cifra stilistica" di "Giovannona Coscialunga" è il grottesco, basti pensare ai parrucchini di Caprioli, Franco e Ballista o ai vestiti e soprattutto alle scarpe di Garrone. Ecco, più che la volgarità è presente una dose massiccia (talvolta eccessiva) di grottesco intrecciata alla pochade di derivazione francese (Feydeau). Questa forte dose di grottesco trova la sua fondamentale spiegazione nel successo appena riscosso dal film della Wertmuller "Mimì metallurgico ferito nell'onore", di cui riproduce il fish eye sulle parti anatomiche delle attrici: così come si esercitava sul sedere di Elena Fiore in "Mimì metallurgico", qui si appunta sui seni della Fenech, in mezzo ai quali spunta il nasone di Pippo Franco. E perfino il titolo è stato modellato sul film della Wertmuller, tanto che il titolo della lavorazione era "Un grosso affare per un piccolo industriale" e perfino la frase in cui la Fenech dice «non per vantarmi ma allu paese me chiamano Giovannona Coscialunga» fu aggiunta in post-produzione.
Il merito della riuscita (almeno secondo me il film è riuscito, nel suo genere) di "Giovannona Coscialunga" è da attribuirsi agli attori, primo tra tutti lo straordinario Gigi Ballista, che è un cumenda strepitoso, non superato dal "fantozziano" Ugo Bologna né dal vanziniano Guido Nicheli. La Fenech se la cava in un ruolo comico, così come sono notevoli le prestazioni di Caprioli, Franco e Garrone. Proprio un duetto tra questi ultimi costituisce una delle gag migliori del film: il pappa Garrone rifila uno schiaffone a Pippo Franco e questi esclama «Spostiamoci che qui se menano!».
Tra un frizzo e un lazzo, con la tardona segretaria dell'onorevole (Adriana Facchetti) che concupisce Gigi Ballista, si arriva alla comica finale nella piscina coperta dell'onorevole, che prelude al ribaltamento finale nel quale Garrone diventa portavoce (lui che non azzeccava un congiuntivo!) della nuova società di proprietà del commendator La Noce e patrocinata dall'onorevole Pedicò, mentre Pippo Franco si trasforma in magnaccia per la Fenech. E qui c'è una delle scene più esilaranti dell'intero cinema italiano. Il duello quasi western tra Pippo Franco e il colosso Nello Pazzafini vale da solo il prezzo di dieci biglietti e quando il pappa neofita implora «A Franceschi' nun me menà» ci si sdraia per terra dalle risate.

Sulla trama

Un industriale del nord, con sede a Roma, ha una fabbrica di formaggi in Sicilia che inquina un fiume. Un pretore d'assalto apre un'inchiesta e blocca la produzione, per cui l'imprenditore si raccomanda a un parlamentare siciliano onesto ma con il debole per le belle donne. Visto che la moglie del commendatore è una donna di una certa età e piissima, il rag. Albertini, dipendente di La Noce, gli troverà una donna da far passare per sua moglie con l'onorevole. La donna è bellissima, peccato che sia una prostituta con un terribile accento ciociaro-marchigiano...

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