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Boccaccio '70

Regia di Vittorio De Sica, Federico Fellini, Luchino Visconti, Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Boccaccio '70

di maso
8 stelle

La sensazione che ho nei confronti di "Boccaccio 70" è che a seguito del successo mondiale di "La dolce vita" i più potenti produttori italiani vollero affiancare a Fellini alcuni nomi importanti del nostro cinema e sfruttarlo come traino per lanciarli o rilanciarli: un maestro già affermato come De Sica, un autore anticonformista come Visconti e un regista promettente come Monicelli; allo stesso tempo dargli anche la posiibilità di realizzare un film breve con cui poter mettere alla berlina quei segaioli repressi che si spugnettavano sulla foto della Ekberg nei cessi della chiesa rionale ma in pubblico e sulla carta stampata avevano massacrato il film con articoli e interviste indignate.

L'episodio "Le tentazioni del dottor Antonio", diretto da Fellini, è indubbiamente il pezzo forte del poker servito e già questo può avvalorare la mia idea su questa relizzazione a episodi, ma ci sono altri elementi che sottolineano il tutto: è il più lungo dei quattro segmenti e non solo per questo anche il più abbagliante, è il primo film a colori di Fellini che solo con la panoramica iniziale sull'universo Roma travolge lo spettatore con una girandola di sfumature e umori, il protagonista bigotto e puritano interpretato da Peppino de Filippo è l'agnello sacrificale che racchiude ed esprime tutte le menzogne morali di quei poveri chierichetti repressi over quaranta che avevano attaccato gratuitamente il film più importante realizzato in Italia fino a quel momento e forse fino ad oggi, dei quattro film è quello che esprime in maniera più graffiante e originale il tema conduttore che li accomuna, che non è la sessualità come molti hanno detto e scritto ma il desiderio d'amore e l'attrazione fisica.

Nell'ora scarsa di durata c'è tutto Fellini e anche di più, a cominciare dalla Roma più solare ed estiva che ci sia con la gente che scorrazza in pattino nel bacino urbano dell'Eur, quartiere moderno e spettrale oltre che set cinematografico, come cinematograficamente astratto è quel maciste che sta recitando a cinecittà, come il ritmo in bianco e nero da comiche alla Chaplin e Keaton che vedono il dottor Mazzuolo rompere i coglioni a due sani innamorati perchè lei è leggermente scollata.

Questo è il dottor Mazzuolo, un ometto nero e frustrato turbato dalla gente che va in pineta ad amoreggiare o dai giornalai che espongono qualche bella figliola in bikini, odioso da prenderlo a calci in culo o fargli volare qualche dente, la grandezza di Fellini è anche quella di suscitarti qualcosa di inaspettato e non solo di mostrare gli interni di una chiesa come un incubo bianco uscito da un film horror in cui Mazzuolo è un emissario dei pretacci pedofili del nostro paese.

Su questa base si staglia un billboard all'americana con Anita Ekberg vestita e sdraiata che invita senza malizia semplicemente a bere più latte, tra quei palazzoni di periferia dove abita anche Mazzuolo con le sue orrende sorelle dementi avanza piano piano il genio di Fellini con la sua cricca di musicisti neri alla Al Johnson, puttane e regazzini, affissori e burattini, un microcosmo scaturito dalla Dolce vita attratto dalla immagine più prorompente della dolce vita che comincia ad ossessionare Mazzuolo mettendo a nudo tutta la sua voglia di peccato nascosta sotto la facciata di un puritano bigotto.

I venti minuti finali sono puro fellinismo allucinato con Mazzuolo inseguito dal gigante Anita in un Eur ricostruito su misura, o un De Filippo corazzato come Don Chiscotte che combatte quel gigantesco mulino a vento, fra le tettone di Anita è finito un minuscolo ombrello e per strada al fianco di Mazzuolo giace un guanto grande come un vitello, con un montaggio alternato di piccoli e grandi set, veri e in polistirolo, fra veli sull'obiettivo e funerali smisurati Mazzuolo cede a ciò che tutti i finti puritani come lui vorrebbero approdare: lassù in cima da lei, da Anita.

L'esatto opposto di questo gioiellino è secondo me l'episodio "Il lavoro" di Visconti, il peggiore in tutti i sensi, verboso oltre misura e fintamente scabroso, oppresso dalle mura interne della grande abitazione dove Tomas Milian e Romy Schneider si fanno i dispetti a vicenda: lui con le puttanelle da night club lei facendo la puttanella da night club che vuol esser pagata anche da lui per le sue prestazioni matrimoniali, non è un caso che deraglia fortemente dal filo conduttore che ho evidenziato in apertura perchè i personaggi di questo episodio non hanno ne tentazioni ne desideri di alcun tipo dato che tutto ciò da cui sono attratti è a portata di mano essendo loro ricchissimi e viziati al contrario di tutti i personaggi degli altri episodi, proletari e poveri.

Il più criticato è spesso quello di De Sica "La riffa" e invece l'ho trovato divertente e scorrevole, per una volta mi è anche piaciuta la Loren che mi ha sempre dato l'impressione di essere una che ha finito a malapena le elementari e faceva tanto la sgallettata ma difficilmente si concedeva.

Zoe lavora in un tiro a segno itinerante perchè non ha fatto neanche la prima elementare e in quel di Lugo è il premio di una lotteria clandestina che il padrone del carrozzone ha organizzato. Il povero bifolco e sua moglie incinta devono allo stato parecchie tasse arretrate e Zoe si sente obbligata ad aiutarli.

Gli acquirenti dei biglietti son tutti contadini allupati o giù di lì, l'oggetto del desiderio Zoe manda in sollucchero mezza Lugo ma manterrà l'impegno preso di concedersi al vincitore o tirerà fuori la scusa del mal di testa o qualcosa d'altro? .......mmmmm voi che ne dite............

Bellissimo e genialmente felliniano l'episodio di Monicelli "Renzo e Luciana" che già dal titolo strizza l'occhio al classico di Manzoni aggiornato a due sposini a Milano nell'Italia del boom, lavorano nella stessa azienda ma non possono assolutamente farlo sapere, vivono in famiglia da lei con babbo mamma e fratellini: qui il desiderio è solo quello di manifestare liberamente l'amore che li lega ma non è così facile se il babbo gioca a scopone con gli amici e non lascia la casa libera.

Monicelli sembra aver attinto da Fellini senza calzare la mano sui toni onirici, ma certe inquadrature e cromatismi danno a "Renzo e Luciana" un tono surreale anche nel tratteggio dei personaggi: la scena della discoteca con quell'immagine dall'alto sulla pista rotante dalla quale si staglia il viola su un bianco e nero ossessivo scelto da Monicelli, la sequenza della piscina ha quel non so che di felliniana memoria accentuato dal personaggio del capo reparto di Luciana che sembra un automa viscido e nazista.

Il giudizio è quindi il seguente: Fellini genial gioiello - Monicelli fra i suoi film più belli - De Sica si salva a fatica - Visconti roba da poveri tonti

Nel complesso non trovo che abbaino molto a che vedere l'uno con l'altro ma come detto Fellini e Monicelli meritano applausi e quindi senza dar troppo peso a gli altri darò quattro stelle.

 

......in definitiva BEVETE PIU' LATTE

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