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Blow Up

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su Blow Up

di maso
10 stelle

 Ci sono due film al mondo che descrivono la Swinging London sviluppando un racconto originalissimo: uno è di matrice anglosassone, nel senso di regia, e mi riferisco al famigerato "Performance" ideato da Donald Cammell è realizzato con l'occhio multicolore di Nicolas Roeg, un cult assoluto del quale prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa.

L'altro è il film in questione e solo per il fatto che lo abbia diretto Antonioni dovrebbe ricevere gli elogi sperticati di qualsiasi appassionato di cinema vecchio e nuovo della nostra bella Italia.

Abbiamo Leone che ha raccontato il vecchio West meglio degli americani, abbiamo Bertolucci che ha raccontato meglio di chiunque altro la parabola dell'ultimo imperatore cinese, e abbiamo Antonioni che ha descritto Londra in fermento culturale nei favolosi anni sessanta meglio di chiunque altro.

"Blow Up" è un film che in due ore riesce a comprendere una intera giornata e sembra davvero durarne ventiquattro.

 Riesce a toccare tutti i luoghi e i volti di una generazione in rivoluzione ed evoluzione, ha un cuore fotografico nella sequenza celeberrima che gli da il titolo, quel blow-up continuo che diventa ossessione e intrigo per noi e per il protagonista ma come sempre Antonioni non è in cerca di un colpevole, piuttosto di un soggetto da argomentare silenziosamente, del mistero irrisolvibile che lega il creatore di immagini e la sua opera.

Antonioni è il regista di un David Hammings fotografo che ha un amico pittore, tutti e tre sono ossessionati dall'immagine ma nessuno dei tre può affermare ciecamente di esserne padrone, può solo dichiararsi schiavo di essa o al massimo autore della propria creazione che essendo tale perde automaticamente aderenza con la realtà.

Da un'alba animata da mimi e pagliacci a zonzo fra il cemento urbano si arriva ad un'alba animata da mimi e pagliacci nel verde del parco, nel mezzo la giornata fitta di avvenimenti di Thomas, fotografo rampante che vive di immagini catturate con la sua reflex: in rapida successine lo osserviamo uscire da un ospizio per i poveri travestito da barbone, ha ottenuto le sfumature del disagio che cercava per un nuovo album fotografico, si tuffa poi sul corpo liscio di Verushka von Lehndroff che come la vera Verushka posa per Thomas nel suo studio professionale, la dove modelle impaludate sostano come statue.

E' da li a poco che il protagonista ha il primo scambio da annotare sul taccuino degli indizi, a casa di Bill il pittore fissa uno dei suoi quadri astratti e Bill eclama: "Quando li realizzo non riesco a vederci niente.....poi una volta finito riesco a vederci qualcosa.....una gamba", "Me lo vendi?" chiede Thomas, "No" risponde Bill.

Questo scambio sembra preannunciare ciò che di li a poco capiterà a Thomas in una delle sequenze più belle di tutta l’opera di Antonioni, in questo caso alle prese con il free-cinema e la sua libertà stilistica: il protagonista durante il suo girovagare per la Swinging London fra suore manifestanti per la pace, etnie afro e guardie della regina si ritrova in un parco silenzioso screziato dal vento, arma l’obiettivo e pedina una coppia formata da una giovane donna e un uomo più attempato.

Antonioni è stupendo nel costruire la sequenza spostando il punto di vista continuamente fra noi che osserviamo il tutto, Thomas con la sua reflex e la coppia che si muove ignara di essere spiata fino al ribaltamento della prospettiva che diventa quella di Vanessa Redgrave quando si stacca dal suo partner lasciandolo al bordo estremo destro dell’inquadratura.

Thomas come Bill e noi con lui pare avere ben chiaro ciò che ha appena fotografato mentre la ragazza lo pressa pretendendo quel rullino galeotto, ma come Bill in precedenza il fotografo non vuole privarsi delle sue immagini che come un quadro astratto devono ancora apparire.

La ragazza fugge: Thomas la insegue per completare il suo quadro e Antonioni la sua sequenza, ma come detto il film in questione vuole puntare l’attenzione dello spettatore sull’impossibilità di controllare l’immagine completamente e quello che sembrava un flirt è all’interno della macchina fotografica tutt’altra cosa mentre per lo sguardo di Thomas e noi spettatori è in effetti ciò che sembra.

L’azione si sposta nel loft studio di Thomas che viene presto raggiunto da Jane, la ragazza del parco, Antonioni non rinuncia a descrivere il corteggiamento di Thomas ma la ragazza sembra recitare un’attrazione perché il suo scopo è solo quello di ottenere il rullino all’interno della reflex.

Thomas la elude con uno stratagemma e può finalmente sedersi sulla poltrona di Antonioni e diventare il suo portavoce: ciò che l’occhio di Thomas aveva visto al parco non corrisponde a ciò che il suo occhio meccanico ha catturato, Thomas ricostruisce la sequenza di scatto in scatto ma questa volta il suo sguardo è potenziato dalla sua arte e riesce a far comparire un qualcosa di inaspettato attraverso gli ingrandimenti, come se la macchina fosse padrona del suo utilizzatore.

E’ qui che poggia la storia e il suo messaggio, come se l’arte fosse padrona del mondo e chi la esercita altro non è che un suo scudiero incapace di dominarla e deve rassegnarsi ad assecondarla, Antonioni ritorna sulla sequenza al parco in maniera completamente diversa, scandita dagli occhi di Thomas che scruta i suoi frames per poi renderli accessibili anche a noi e far affiorare osservazioni su ciò che non è apparso con le riprese di Antonioni.

Tutti i quadri fotografici appesi nel loft di Thomas che mettono in luce ciò che l’occhio nudo non aveva percepito durano il tempo di un pomeriggio e poi l’evidenza scompare.

Si intuisce che Jane ne sia responsabile e per farsi beffa di Thomas ha lasciato sul pavimento l’ultima immagine del filmato statico che era stato capace di costruire, un ingrandimento estremo che senza il resto ha perso la sua evidenza, sembra uno dei quadri astratti di Bill, come un corpo steso che senza didascalia può essere svenuto o addormentato, defunto o ammalato.

La notte di Thomas è dedicata alla ricerca di quell’evidenza perduta che ha lasciato tracce in giro per Londra e la sua rivoluzione giovanile: Ron l’editore di Thomas è ad un festino condito dagli spinelli che Thomas rifiuta di assaporare per non staccarsi oltremodo dall’evidenza che sta cercando di ritrovare, non a caso rincontra Verushka alla quale domanda: “Non dovevi essere a Parigi?” “Ma io sono a Parigi!” risponde la modella.

La ricerca prosegue nel parco ormai avvolto dal buio e nel suo angolo più oscuro l’evidenza ricompare ma forse non è neppure questo ciò che Thomas sta cercando, è l’opera perduta che non ritrova più.

Il suo girovagare gli fa intravedere Jane in un angolo di Soho ma è solo la chance per Antonioni di poter mostrare gli Yardbirds on stage in un tipico club della Londra psichedelica: Jeff Beck e Jimmy Page icone di un rock nascente spalleggiano il canto di Stroll On con un sound di chitarra tagliente lontano dal blues e spinto alle frange primordiali dell’hard rock.

A Thomas non rimane che tronare nel luogo del delitto sotto la luce dell’alba ed accettare che l’illusione e i suoi trucchi ingannevoli lo coinvolgano per poi scomparire con lei.

La musica jazz di Harby Hanckrock colora il tutto insieme alla luce estremamente umana di Carlo di Palma che pennella una grigissima Londra con gli abiti sgargianti dei suoi personaggi coloratissimi.

Antonioni è un maestro che non mi stancherò mai di amare così come il suo splendido trio di attori formato da un disinvolto David Hammings, una frenetica Vanessa Redgrave e la bella Sarah Miles.

Palma d’oro a Cannes mai così meritata per un film che ha fatto epoca e che ha fissato l’immagine di una città e il suo fermento ancora oggi ricordato da coloro che lo hanno vissuto come irripetibile per l’esplosione artistica, musicale e modaiola, un vero e proprio ingrandimento culturale.

 

 

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