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Blow Up

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su Blow Up

di Vocativo
8 stelle

La perdita di senso nell'era della riproducibilità tecnologica. Quanti strati ha il reale, quanti ne può cogliere il nudo occhio di un uomo, quanti quello macchinico di un oggetto di riproduzione? Lungi dal darci una risposta, Antonioni si pone in uno stato di "sospensione interrogante". Salvo ravvisare che il reale non è interrogabile con i mezzi percettivi a nostra disposizione (naturali o non). Il reale, infatti, si dà come luogo ambiguo per eccellenza, come dimensione non investigabile. Esso è a tal punto al centro dell'essere umano che quest'ultimo ne smarrisce in modo irreparabile le strade di accesso, riducendolo a mero contenitore di eventi. L'esistere, in Blow up, è un essere nel mondo che autodefinisce la vita a prescindere dal rapporto soggetto-dato esterno. Il soggetto è catapultato nella Cosa senza riuscire ad entrare in relazione con essa. Dunque la realtà non assume la propria fisionomia in relazione al farsi del soggetto, ma si rivela un dato preconfezionato e assolutamente inaccessibile. L'aderenza ad esso si complica ulteriormente, come in un gioco di rifrangenze e riverberi, a causa dell'invasività del mezzo tecnologico e della sua capacità di ri-produrre la realtà. I rapporti possibili tra realtà e sua rappresentazione sono tre, come anche il film suggerisce: 1) L' obbiettivo fotografico si dimostra più vero della realtà e capace di modificarla quando scorge l'uomo con la pistola dietro la siepe. Il protagonista crede di aver sventato un omicidio grazie al suo strumento. 2) La realtà e la sua riproduzione sono sullo stesso livello: la macchina non ha scongiurato l'omicidio e la foto non penetra nel reale fino a modificarlo, ne è solo una neutra rappresentazione (l'evento-simbolo è il click fotografico nella notte che si confonde con il grilletto di una pistola, o viceversa). 3) La realtà è ambigua più della rappresentazione: è la prima ad invadere la seconda ribaltando ciò che la presunta oggettività della macchina aveva colto. L'evento chiave è il corpo dell'uomo non ritrovato e la finta partita a tennis. Se la rappresentazione è un'ombra della realtà e la realtà stessa è una finzione, un'ombra, la rappresentazione sarà un'ombra di un'ombra e quello che potrà cogliere è solo la sgranatura della superficie come dimostrano i vari ingrandimenti. La cultura del periodo è già dominata dall'immagine, e la foto, un'immagine, non può che cogliere la superficie delle cose senza approfondirle: il risultato è una scoloritura del reale, una sua lettura incompleta se non superflua. La tecnologia invade il reale e ne offre una lettura falsa inducendo il reale ad intervenire su se stesso automodificandosi e ad assumere tutte le forme della falsità stessa, le stesse della tecnologia che la rappresenta: la realtà risulta depotenziata, un velo di Maja che non riusciamo a squarciare. Se considerassimo il reale a strati, come una sorta di matriosca, il cuore, lo strato più profondo, più vicino al vero, si rivelerebbe per paradosso anch'esso una traccia che riconduce alla superficie: un labirinto di rimandi il cui vero senso è smarrito per sempre. Le geometrie di Antonioni cedono ad un massimo di astrazione e retrocedono a coagulo caotico precedente all'esplosione primordiale, fatto di corpuscoli e punti luminosi (ne sono ulteriori testimoni l'"impazzito" uso del colore nella singolare tavolozza di Di Palma e le tele, puro gesto, nudo segno, che Thomas vuole comprare dall'amico: un'astrazione che alimenta il suo disorientamento con l'inclusione di tracce di non-senso all'interno del senso). Solo dei pazzi possono ancora sostenere che Blow up sia un film tempista e nulla più. Il film offre un'inesauribile possibilità di lettura che si arricchisce con il passare degli anni, suggerendo sempre nuovi spunti e ulteriori orizzonti di cinema, grazie all'abilità di un regista eccezionale e tecnicamente sempre all'avanguardia, uno dei massimi di ogni tempo.

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