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Nel corso del tempo

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Nel corso del tempo

di maldoror
8 stelle

Il film è una riflessione su una generazione allo sbando e disperata, che ha rinnegato i padri e che, nel tentativo di allontanarsi da essi, cerca disperatamente di trovare una propria identità, una propria ragion d'essere. Ecco quindi che la dimensione "on the road" diventa l'emblema perfetto di una tale condizione esistenziale, una dimensione in cui la vita e il viaggio, la vita e il percorso intrapreso nel tentativo di dare un senso a quest'ultima, vengono interamente a coincidere, ma in cui il viaggio si scopre essere alla fine disperatamente privo di una meta.
I due protagonisti sono due disperati privi di passato o in fuga da sè stessi, alla ricerca di qualcosa d'altro, e il viaggio da loro intrapreso è consapevolmente privo di un fine. La disperazione esistenziale emerge soprattutto a causa dell'impenetrabilità del reale, che costringe lo sguardo a scivolare solamente sulla superficie delle cose senza riuscire a scorgere il senso che si cela dietro. Il paesaggio che si presenta lungo il viaggio è sempre uguale, monotono, indifferenziato, un mero susseguirsi di luoghi anonimi e quasi metafisici che richiamano di volta in volta le tele di Hopper (pompe di benzina isolate, cinema deserti, anonime stazioni ferroviarie, torri), pertanto anche la vita si riduce ad essere un mero susseguirsi di episodi privi di senso e slegati fra loro così come lo sono le varie tappe del viaggio, che rimandano a un'identità altrettanto fratturata, un puro collage di azioni motivate esclusivamente dall'inerzia, e dall'incapacità di inventare qualcosa di nuovo, di immaginare, di andare oltre quella superficie impenetrabile.
 
Sulla base di una tale condizione esistenziale, in cui da un lato la monotonia indifferenziata del reale non offre alcuna possibilità di dar vita a delle storie (che sono necessariamente il prodotto di una "individuazione" e selezione del reale, e quindi di una differenziazione), e dall'altro lo sguardo non riesce a penetrare il reale limitandosi a riprodurre la superficie anonima delle cose, cosa si riduce ad essere il cinema? Ci sono due possibilità pressochè contrapposte: da un lato la mercificazione dell'immagine, ottundere e sovreccitare i sensi dello spettatore con delle immagini superficiali e stupide che non richiedano alcuna concentrazione, che si allontanino dalla realtà nel tentativo di nascondere il vuoto di quest'ultima, riducendosi a puro svago, intrattenimento superficiale; dall'altro, quella di far coincidere il cinema con la vita stessa, dunque col puro scorrere del tempo e col puro succedersi indifferenziato degli eventi nel (corso del) tempo. Il film infatti non è altro che questo, e Wenders ce lo fa capire con dei continui parallelismi visivi: facendoci vedere i protagonisti attraverso il quadrato di un finestrino come fossero dentro uno schermo, mostrandoci le ruote del camion che girano come fossero dei proiettori messi in moto e il vetro del parabrezza che riflette il cielo come fosse uno schermo, o ancora facendoci vedere i due protagonisti che danno vita a un "film" estemporaneo una volta accortisi di essere stati colpiti da un fascio di luce che ne proietta le ombre su una tela bianca, trasformata per l'occasione in uno schermo cinematografico; e soprattutto, ricordandoci alla fine che il meccanismo della visione, la capacità del nostro occhio di percepire la continuità temporale, è esattamente lo stesso della croce di malta, cioè quell'apparecchio che consente di tramutare il succedersi dei fotogrammi immobili in una continuità fluida, eliminando gli intervalli neri tra un fotogramma e l'altro, dando così l'illusione del movimento: senza la croce di malta non sarebbe possibile tanto il cinema quanto la nostra visione della realtà. 
La ribellione nei confronti dei padri diventa dunque anche ribellione e tentativo di trovare delle vie alternative al cinema classico, di cui vengono completamente sovvertite le regole, in primis la famosa massima hitchcockiana secondo cui il cinema è "come la vita, ma senza le parti noiose", mentre qui invece sono addirittura i tempi morti a costituire la materia "narrativa", se così si può dire, essendo soltanto di questi ultimi che è costituito il film. Ma al contempo, l'appiattimento e annullamento della dimensione cinematografica sulla realtà, ci consente di scorgere come anche quest'ultima sia diventata "cinematografica", cioè come da essa traspaiano i segni di una "colonizzazione dell'inconscio" da parte del cinema americano (come viene detto da uno dei due protagonisti), per cui la vita stessa, la dimensione stessa del viaggio, anche se filtrata attraverso un grado zero cinematografico, diventa paradossalmente un film "on the road", e il paesaggio diventa quasi quello di un film americano.
 
Ma ovviamente neanche la seconda delle due possibilità è del tutto consolatoria.
La vera via d'uscita infatti, come sembra volerci suggerire Wenders, è quella di tornare alla VISIONE: il cinema è arte dell'immagine, come ricorda la donna alla fine del film, bisogna pertanto riscoprire il senso di quest'ultima, il suo rigore, la sua etica: riscoprire dunque che è sufficiente mettere insieme ombre e luce per dar vita a un'immagine, e che essa possa godere di vita propria, di una propria capacità di significazione anche senza l'accompagnamento della musica o di qualunque altra aggiunta al solo scopo di creare sovreccitazione emotiva (si pensi al proprietario del cinema della scena iniziale, che prima parla di quando creava grandiosi accompagnamenti musicali di film come Ben-Hur e soprattutto I nibelunghi, per poi confessare candidamente di essere stato un militante del partito nazista), e uscire in questo modo dalla mercificazione del visivo; riportare l'immagine quindi alla sua purezza, alle sue origini, a quando il cinema era soltanto ombre su uno schermo, come scoprono i due protagonisti nella già citata scena della pantomima improvvisata a teatro, episodio che per altro ha luogo proprio durante il tentativo di riparare un altoparlante guasto (e quindi di nuovo il rapporto tra immagine e suono); ritornare pertanto anche alla "metafisica" dell'immagine, alla dualità ombra-luce, bianco-nero, come mezzo per riscoprire la sua capacità di andare al di la della superficie, per riscoprirne l'essenza, il contenuto che vi si cela dietro.

Sulla colonna sonora

Magnifica: malinconica, disillusa e struggente.

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