Il cambiamento del cinema è una questione di passaggi di stato. L’immagine cinematografica è stata solida e materica, un oggetto analogico duro, un supporto fisico concreto e percepibile, un tessuto. Poi si è fatta liquida, senza struttura, sciolta e soprattutto manipolabile, formata e sformata dai suoi differenti contenitori. Infine, ha raggiunto uno stato, per così dire, gassoso, imprendibile e impalpabile, atmosferico e infatti diffuso, sempre delocalizzato e senza centro, ma non del tutto senza peso.

locandina
Under the Skin (2013) locandina

Lo ha capito Jonathan Glazer, sguardo esterno ai postulati del medium e alle sue posture obbligatorie, sguardo proveniente da altre immagini, quelle della sintesi musicale (il videoclip), e quindi della coincidenza tra forma e contenuto, della performatività (la screen dance) senza doppiofondo letterario o giogo teatrale. Interessato al cinema della convergenza mediale, il regista britannico ha inquadrato queste vibrazioni trasformative, e ha avuto l’ambizione (l’arroganza?) di metterle in scena.

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Under the Skin

Under the Skin è questa messa in scena, la messa in forma della storia evolutiva e circolare del medium cinema, delle sue forme, dei suoi supporti, delle sue congiunzioni storiche, indeterminazioni presenti e possibilità future. L’inizio e la fine del film lo illustrano con chiarezza, anche di riferimenti: è a Kubrick che guarda questo regista, e quindi a un cinema che, mettendo in abisso se stesso, mostra il suo funzionamento e il ruolo delle sue immagini rispetto al mondo –usando il genere come un travestimento, un piano d’astrazione per fare teoria.

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Under the Skin

Non è un caso che Glazer riprenda la coincidenza astrale di 2001: Odissea nello Spazio per aprire il suo film di fantascienza: i corpi sferici che aprono il film sembrano pianeti immersi nello spazio profondo ma sono in realtà parti di un occhio che lentamente si compone per un alieno che assume forma umana e inizia ad acquisire un linguaggio proprio grazie allo sguardo, alla visione. L’occhio è anche una lente che produce un fascio di luce, e non è difficile riconoscere proprio questa emittenza luminosa come quella del proiettore cinematografico, con il suo insieme di meccanismi vitrei: è il cinema delle origini, quello della proiezione dei fotogrammi ancora chimicamente bagnati di realtà.

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Under the Skin

Sentiamo balbettare lettere e poi parole (“feel, fear, film, cell”), e così l’immagine appena nata già comincia a parlare. L’evoluzione è inarrestabile, prende corpo, si fa costume d’attrice, di diva. L’alieno veste questa pellicola cosmetica per attirare gli uomini e cibarsi del loro desiderio, ed è un gioco di attrazioni il suo, una danza di immagini nel buio fatto di riflessi, un intrigo di visioni nell’oscurità che si apre e si fa abisso, trascinando lo sguardo del desiderio fino alla morte. I corpi degli uomini attirati nella trappola dell’alieno con uno schiocco si sgonfiano della loro carne, del loro peso biologico e rimangono a fluttuare nel vuoto pneumatico: il corpo è rimosso, trascinato via da un condotto, e tutto è leggero e senza sostanza. Intanto l’alieno è ovunque, senza logica narrativa, salta da un punto all’altro e non c’è morale nel suo sguardo, è 1 e 0, digitale che pervade tutto e arriva ovunque – Glazer comprende la natura del digitale, e infatti fa del mondo il suo set, filma con microcamere nascoste le persone catturate dallo sguardo di Scarlett Johansson, ed è una candid nascosta nell’arthouse, cinema del reale en travesti.

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Under the Skin

Ma a un certo punto il corpo – là dove è di più e dove non dovrebbe, magari per l’incontro con un elephant man in cerca di contatto – si fa sentire di nuovo, causa scompenso anche nell’alieno, che dalla sensazione scopre un sentimento. Il montaggio si piega intorno agli arti e si fa movimento, accenno di danza, poi improvvisa fuga, corsa.

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Under the Skin

Nel finale questo corpo scoperto è violato: un operaio incontra la diva, vuole possederla, le strappa il costume. L’alieno è sfiancato, e ormai ha capito cosa significa avere un corpo. Quindi se lo sfila e la sua figura minerale fatta di stelle prende fuoco.

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Under the Skin
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Under the Skin

Un fumo nero e alto porta lo sguardo della camera al cielo, scendono fiocchi di neve sulla lente della camera.

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Under the Skin
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Under the Skin

È con questo finale, in cui un corpo analogico brucia generando immagini digitali che a loro volta si fanno materiche, che Glazer pensa al cinema del presente non più come una mera pellicola ma come una forma rigenerativa, un circuito, un meccanismo ecologico che contiene il mondo e lo rimette in moto.

Autore

Leonardo Strano

Leonardo Strano si è laureato in Filosofia dell’Esperienza Estetica con una tesi sull’inconscio ottico in Walter Benjamin e Jacques Tati (il suo regista preferito). Mentre prosegue gli studi in Teoria dell’immagine scrive per Filmidee, Pointblank e DinamoPress.

Il film

locandina Under the Skin

Under the Skin

Fantascienza - Gran Bretagna 2013 - durata 104’

Titolo originale: Under the Skin

Regia: Jonathan Glazer

Con Scarlett Johansson, Krystof Hádek, Robert J. Goodwin, Paul Brannigan, Michael Moreland, Scott Dymond

Al cinema: Uscita in Italia il 28/08/2014

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Chili