Italiani. Di terra, di mare, di hinterland e di zona artigianale-industriale: non disperate. Il 26 gennaio è l’ultimo giorno di vana speranza per dare la giusta, simmetrica conclusione all’esempio di narrazione ciclica più stupida, esilarante, delinquente e divisiva nella storia della Repubblica italiana. Siete sicuramente consapevoli, infatti, che esiste una realtà parallela in cui Silvio Berlusconi è stato eletto Presidente della Repubblica, esattamente 28 anni dopo la sua napoleonica (nel senso di sindrome) discesa in campo a reti unificate.

Il 26 gennaio è un giorno così, molto sbarazzino. Si diverte a giocare con i destini delle persone e con la loro fede politica. È quasi scanzonato. Come la vita sessuale del divo Marco Pulici in Il Caimano, il film che Nanni Moretti ha letteralmente rigurgitato dopo vent’anni e passa di nausea (i girotondi di certo non hanno aiutato eh) berlusconiana.

Una meta-satira in cui un produttore cinematografico vicino a chiudere bottega (l’incommensurabile Silvio Orlando) decide, come ultima spiaggia, di finanziare il film di una regista semi-esordiente che racconta la storia del Silvio nazionale. Un film dolente, incazzato, provocatorio, dal finale teatralmente apocalittico, e che (in pieno stile morettiano) più che parlare di Berlusconi parla dell’effetto di Berlusconi sulla vita di Nanni Moretti e su chi assomiglia (per idee, stile di vita, filosofia, sistema di valori) a Nanni Moretti. Con tutti gli altri, con chi ha sempre ammirato il Cavaliere, non c’è dialogo. D’altronde, come insiste la regista Jasmine Trinca, un discorso sulla politica è un discorso personale. Quindi, forse, il dialogo non ci sarà mai, e il segreto sta semplicemente nella facilità con cui passiamo al successivo oggetto politico di incomunicabilità.

Che poi, prova a dirle a Gandhi certe cose sull’incomunicabilità. Povero Gandhi. Che apparentemente ci era riuscito ad aprire un dialogo con tutti, ma tutti tutti, tanto da unire il paese più diverso del mondo fino a portarlo all’indipendenza dagli inglesi; per poi finire morto ammazzato da un fondamentalista indù, non troppo convinto della necessità di andare d’accordo anche con i musulmani.

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Mahatma Gandhi

Il Mahatma non ha fatto in tempo ad ammirare la ciliegina sulla torta del suo miracolo politico e sociale: è stato ucciso due anni (meno quattro giorni) prima del 26 gennaio 1950, giorno in cui è entrata in vigore la nuova Costituzione e in cui, da allora, si festeggia la Festa della Repubblica indiana, anche in memoria della Dichiarazione d’indipendenza pronunciata dal congresso in quello stesso giorno, ma nel 1929.
La Festa della Repubblica indiana è anche un ottimo pretesto per lanciarsi, di testa e da uno scoglio altissimo, nel magico e variegato mondo dei film epici provenienti dal subcontinente, cinematografia celebre per aver preso il concetto di americanata e averlo portato nelle più rarefatte stratosfere dell’iperuranio.

Quando si tratta di retorica e di enfasi, il cinema commerciale indiano non lo batte nessuno, nemmeno il Michael Bay di Pearl Harbor. A maggior ragione se si tratta di esaltare la lunga lotta per l’indipendenza. Per festeggiare il 26 gennaio come si deve, casca a fagiuolo The Rising (2005), film presentato a Locarno e distribuito anche fuori dal mercato indiano, che racconta da par suo la figura storica di Mangal Pandey, Sepoy (soldato indiano agli ordini degli inglesi) la cui ribellione (e in seguito, spoiler, esecuzione) ha provocato i Moti indiani del 1857, un buon nome alternativo per quella che nei fatti fu la Prima guerra d’indipendenza indiana. The Rising lo trovate in giro, ma se anche voi volete rispolverare i tre anni di hindi fatti alle scuole medie, eccovi serviti.

Sai chi è bravissima a comunicare, almeno a suo stesso dire e soprattutto per quanto riguarda la politica? La grande nazione degli Stati Uniti di Amerigo Vespucci, proprio essi, coloro i quali se la sono addirittura inventata la comunicazione moderna e la retorica che ci va appresso. E sai chi ha riso molto leggendo quest’ultima affermazione? Il 26 gennaio, ecco chi. Era quel giorno lì del 1998, infatti, quando il Presidente USA Bill Clinton ebbe la ragguardevole idea di indire una conferenza stampa ufficiale presso la Casa Bianca per garantire al popolo tutto che lui, con l’ex stagista Monica Lewinsky, non ci aveva fatto neanche mezza zozzeria.

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Bill Clinton e Monica Lewinsky

Fu l’inizio ufficiale di quella famigerata slavina conclusasi con il processo di impeachment che portò, sostanzialmente, a un nulla di fatto – se non per quanto riguarda il drammatico peggioramento nella qualità della vita di Monica Lewinsky. E qui dov’è l’incomunicabilità? Provate a leggere le acrobazie semantiche dell’avvocato Clinton, che in alcune sue deposizioni tenta di giustificare perché non ritenga la fellatio ricevuta parte degli “atti sessuali” genericamente intesi. Per non parlare, poi, del proverbiale circo mediatico sollevato dalla questione, delle curve da stadio, della comunicazione per slogan sbraitati da una curva all’altra. C’è una serie che racconta discretamente tutto il ginepraio, ed è American Crime Story: Impeachment.

Concludiamo fuggendo dalla politica, ma rimanendo nell’ambito dei problemi di comunicazione: il 26 gennaio 1988 veniva rappresentato per la prima volta a Broadway il musical The Phantom of the Opera, scritto e composto da quel satrapo di Andrew Lloyd Webber. La domanda in questo caso è la seguente: com’è possibile che, da un testo del genere, quel simpatico guercio di Joel Schumacher sia riuscito a trarre un film di una noia pestilenziale come Il fantasma dell’opera? Inspiegabile. E incomunicabile. Ci resta solo da sperare, visti i contatti con Gabriele Muccino, nell’elezione a Presidente della Repubblica di Gerard Butler.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.