Una banalità: l’appartamento di Rue Jules Verne (nella realtà Rue de l’Alboni, XVI arrondissement) è il vero terzo protagonista di Ultimo tango a Parigi. Una casa rifugio, piena di simboli e risonanze, al di fuori della quale la coppia si sfalda e Paul/Brando diventa un omuncolo piagnucolante. Un alloggio spoglio e decadente in cui gli sparuti mobili presenti sono ammucchiati in una stanza, pronti per la discarica, insieme a un oggetto alto e misterioso nascosto da un lenzuolo.

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Ultimo tango a Parigi

Di fatto, se si escludono i pochi arredi poi acquistati dall’uomo, quella di Rue Jules Verne è una casa vuota. Ma se Jeanne e Paul avessero avuto un futuro, cosa avrebbero scelto per arredarla? Limitiamoci all’essenziale: nessun letto, perché per il sesso è sufficiente un materasso; nessuna libreria, perché due bohémien spargono i loro libri ovunque; nessuna cucina, perché l’immagine di uno dei due ai fornelli è semplicemente inaccettabile.

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Ultimo tanto a Parigi

Per le sedie, gli indizi sono rintracciabili nei due quadri di Bacon che appaiono sui titoli di testa: Ritratto di Lucian Freud e Studio per un ritratto di Isabel Rawsthorne. Nel primo, l’uomo è sdraiato su una specie di versione ‘disassata’ della Panton Chair, progettata nel 1959 da Verner Panton. È una scelta d’arredo che pare coerente, perché quella del designer danese è una sedia sensuale che, come da dettami Art Nouveau, si ispira alla natura ed è stata concepita per riprodurre e seguire sinuosamente le curve del corpo umano.

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Panton Chair

E, proprio come la relazione della coppia, è una sedia effimera perché, realizzata interamente in plastica a partire da un pezzo unico, ha sofferto di una serie di problemi ‘fisici’ e di tenuta che l’hanno resa inadatta alla produzione di massa almeno fino agli anni Novanta, quando l’azienda Vitra è riuscita a fornirle la resistenza e la stabilità necessarie grazie all’impiego del polipropilene.

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Thonet Chair n. 14

Nel secondo quadro, la donna riposa su una sedia che non può non ricordare la celeberrima n. 14, il classico modello da bistrot progettato nel 1859 da Michael Thonet e sviluppato, dopo anni di tentativi infruttuosi, con una tecnologia innovativa che utilizzava il vapore per ammorbidire e quindi curvare il legno. Thonet ci perse il sonno (“piegare o rompere” divenne il suo motto), ma diede vita a un oggetto per cui è legittimo, per una volta, spendere l’aggettivo ‘iconico’, dal disegno semplice e dal prezzo contenuto. Composta da appena sei elementi tenuti insieme da dieci viti, n. 14 fu definita da Le Corbusier il miglior prodotto di design mai creato.

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Pipistrello

Per l’illuminazione si torna in territori Art Nouveau con la Pipistrello, che Gae Aulenti disegna nel 1965 per alcuni showroom Olivetti e che Martinelli Luce provvederà a produrre in serie. La Pipistrello è composta da una base in inox, un braccio telescopico che permette di variarne l’altezza (da 66 a 86 cm), e un diffusore in metacrilato opalescente. Come scrive in un saggio Umberto Rovelli, la lampada è frutto di un talento “peculiarmente femminile”, poiché il progetto rivela le capacità di Aulenti “a miscelare e mettere in relazione esigenze pratiche e morfologie, ordire temi e sottotemi secondo una filiera ‘metonimica’ che pare procedere quasi manualmente, passo dopo passo fino a coinvolgere l’intera trama dell’opera”. Chiudiamo accontentando la richiesta di Jeanne, che in una delle prime scene del film esprime il desiderio di avere un poltrona davanti al caminetto.

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UP5 e UP6

Qui la scelta, quasi obbligata, cade sulla UP5, da sempre abbinata al suo poggiapiedi UP6. Come per l’intera serie UP, il designer è Gaetano Pesce, le poltrone sono prodotte dal 1969 da C&B (Cassina & Busnelli, oggi B&B Italia) e rappresentano uno dei massimi esempi del design radicale in voga tra i Sessanta e i Settanta. Realizzata in schiuma di poliuretano flessibile a iniezione, la poltrona ha forme abbondanti e sinuose come quelle delle veneri paleolitiche a cui si ispira. La parte superiore dello schienale ricorda due grandi seni, la parte inferiore richiama le cosce. Elogio della donna, UP5 nasceva anche come metafora del suo sfruttamento, e per questo è sempre stata abbinata ad UP6, che non è altro se non una palla legata al ‘corpo’ con una corda, simbolo di peso e sopraffazione. “Ricordo” dichiarò Pesce “che con quella poltrona ho voluto parlare di una condizione umana: la prigionia della donna vittima dei pregiudizi degli uomini, perché vive in condizioni ancora inaccettabili in certi Paesi. Era per me un modo di parlare politicamente attraverso un oggetto industriale che aveva un potenziale nuovo di comunicazione”. Jeanne/Maria Schneider, forse, da qualche parte ringrazia.

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Ultimo tango a Parigi

Ultimo tango a Parigi

Drammatico - Italia/Francia 1972 - durata 132’

Regia: Bernardo Bertolucci

Con Marlon Brando, Maria Schneider, Maria Michi, Jean-Pierre Léaud

Al cinema: Uscita in Italia il 21/05/2018