Quanto complicato è raccontare, specialmente per immagini, un cervello che non funziona bene, che ha una chimica sballata e soprattutto che legge la realtà in una maniera diversa da quella comunemente accettata e condivisa, che sia per motivi fisiologici o contestuali poco importa. Insomma, quanto è difficile? Grazie per la domanda. È molto difficile. Anzi, è un disastro da trincea e si rischia sempre la mattanza del buon gusto. Insisti troppo sulla messa in scena e diventa una glamourizzazione buona per fare spettacolo ma meno valida per dare dignità e valore al discorso. Insisti sullo scritto e sul parlato e alla meglio viene fuori la pagina di Wikipedia sul disturbo bipolare. È un equilibrio davvero complicato da azzeccare e oggi vorremmo parlarvi di una serie che sembra averci azzeccato parecchio.

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Somewhere Boy

Somewhere Boy è una miniserie prodotta e distribuita da Channel 4, che è un canale pubblico anche se non si chiama BBC ed è quello che fa fare i soldi alla corona trasmettendo il Grande fratello e i reality show di pasticceria – c’è tutta una serie di fan violentissimi di The Great British Bake Off che non apprezzerà la nomenclatura generica appena utilizzata. Somewhere Boy l’ha fatta l’esordiente assoluto Pete Jackson, una che con una sola R in più in coda al nome di battesimo oggi sarebbe uno dei cineasti di maggior successo nella storia recente del cinematografo. Jackson senza R nel nome, però, non si interessa di effetti speciali e orchi che sbavano, bensì preferisce debuttare come showrunner scrivendo e producendo una storia che sta fra la novella di formazione (romanzo pare un po’ troppo ampio come concetto: sono 8 episodi da meno di mezz’ora l’uno) e l’horror gotico – nelle scene oniriche, e visto anche che si parla di infanzie perdute, sembra di avere a che fare con un Del Toro un po’ meno visionario e un po’ più triste probabilmente per colpa del freddo umido nelle ossa –, con un tocco di dramma famigliare nemmeno troppo piagnone e, perché no, l’atmosfera soffusa del racconto di fantasmi. 

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Somewhere Boy

Danny è cresciuto tutto solo da un padre spaventato dal mondo, che lo costringe dentro una stamberga fascinosa ma confinata con la scusa che fuori è pericoloso, che ci sono in giro gli stessi mostri che tanto tempo prima hanno ucciso sua madre. E tutto questo, come già accennato, ci viene mostrato e non detto. La prigionia – o meglio: la limitazione – fisica del ragazzo è diventata, crescendo, anche mentale. Danny non conosce nessun altra realtà. Eppure è un ragazzo di una sensibilità straordinaria – cosa gli vuoi dire a un adolescente che ti parla di Casablanca con le stelline negli occhi? – che però è stato costretto a vedere il mondo da un’angolatura molto diversa rispetto alla norma.

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Somewhere Boy

È un mondo dai colori meno brillanti, un po’ più spaventoso. E allora che bello quando il racconto di una condizione di non libertà, come può essere quella di una persona imprigionata da collegamenti sinaptici che agiscono diversamente, si svolge attraverso i dettagli, attraverso le molte inquadrature di raccordo in cui la macchina da presa prende il punto di vista di Danny, che sembra osservare una realtà canonica per la prima volta, e noi con lui. A Danny piacciono i vecchi film in bianco e nero e i vinili di musica composta quando Hitler era ancora solamente un politico con i baffetti buffi che urlava nelle birrerie di Monaco: sono le cose che gli hanno fatto compagnia e che lo legavano al papà, unica presenza umana nella sua vita. A Danny, d’altro canto, non piace per niente che il padre abbia deciso di festeggiare il diciottesimo compleanno del figlio sparandosi un colpo in testa con il fucile da caccia, non essendo più in grado di reggere mentalmente ed emotivamente alla vita.

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Somewhere Boy

Il ragazzo viene dato in affido alla zia, donna buona e pratica, capace di empatia e di pragmatismo allo stesso tempo. Nella sua nuova casa Danny condividerà la camera da letto con il cugino coetaneo Aaron, adolescente che è cresciuto in maniera normale ma è un reietto tanto quanto il figlio dello zio strano che non ha mai accettato la tragedia di una vedovanza ingiusta e improvvisa.

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Somewhere Boy

Immagino che buona parte della storia di Somewhere Boy – che nell’episodio pilota si concentra sulle premesse, sui primi tratteggi dei personaggi e sugli incubi che affollano la mente sovraccarica di stimoli di Danny – si concentrerà sull’amicizia nascente fra questi due adolescenti, rigettati dalla società per motivi diversi e finalmente in grado di avere un rapporto vero con un altro essere umano. Immagino anche che proseguirà la parabola di Danny, alla scoperta di una realtà che gli era sempre stata preclusa. Spero vivamente che i flash di umorismo asciutto e perfettamente azzeccato non si diradino. Se tutto va bene, avete fra le mani un altro piccolo gioiellino che Sky porterà sui nostri schermi non appena la serie comincerà a fare incetta di BAFTA.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.