Non è per insistere troppo sull’argomento – ché già c’è il titolo e poi finiamo per essere erroneamente scambiati per gli onnivori insensibili che si prendono giuoco dei vegani – anche perché non è assolutamente il centro focale di The Cynic, il nuovo speciale comico di Romesh Ranganathan appena pubblicato da Netflix. Ma questa cosa di poter sentire un po’ di umorismo vegano senza feriti, fisici o spirituali, né fondamentalismi o dichiarazioni d’odio, senza nessuno che guardi dall’alto al basso nessun altro: è una bella faccenda, abbastanza inusuale. Ed è anche un buon modo per introdurre Ranganathan come comico: è vegano – anche perché proviene da una famiglia hindi dello Sri Lanka, è un tratto culturale oltre che una scelta etica – è un comico woke, ovvero non ha atteggiamenti di bullismo o disprezzo nei confronti di minoranze, è tutto ciò che una persona reazionaria dovrebbe non poter sopportare, eppure è in grado di essere divertente senza alienare tutta la fascia di quelli che “non si può più dire niente”.

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Romesh Ranganathan

Un po’ è cerchiobottismo, nel senso che la carriera di Ranganathan nasce nella televisione generalista inglese, che come tutte le televisioni generaliste è pensata per piacere al più ampio pubblico possibile. Un po’ è la capacità di Romesh di rimanere fedele alla sua comicità d’osservazione dall’inizio alla fine dello speciale, ponendosi al di sopra degli schieramenti e prendendosi indistintamente gioco di tutti, a partire da se stesso.

The Cynic somiglia a Romesh, nel senso che è uno spettacolo di stand-up molto classico. Ranganathan è quel tipo di comico che piace agli altri comici anche perché scherza sulle idiosincrasie del mestiere e sulle dinamiche interne. «Il vero segreto del successo è essere fortunati. O entrare in quota minoranze. Ma se non sei fortunato è inutile. Pensa se l’uomo più divertente sulla faccia della terra fosse nato in una tribù amazzonica. Invece di parlare inglese e far ridere tutto il mondo parla una lingua che conoscono in otto e nessuno saprà mai quanto è esilarante». Ed è uno spettacolo classico anche nel senso che fa un uso perfetto di alcuni dei più rodati archetipi della comicità inglese.

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Romesh Ranganathan

Giochi di parole, tanta autoironia – ma non di quella all’acqua di rose di cui si ammantano le persone che utilizzano a sproposito la parola “resiliente”, proprio autocritica da britannico che si dà del coglione da solo, ha perfettamente ragione a darsi del coglione ed è sinceramente di buonumore mentre si sta dando del coglione –, tanti momenti insistiti di mimo e soprattutto alcune finte che rendono inaspettato il suo set, con le premesse delle battute che pendono da una parte, mantre le punchline vanno, in un istante, altrove. «Per sbaglio mi sono rasato a pelle la barba. Mia moglie era particolarmente contenta, ma non perché fossi più bello. Semplicemente perché assomigliavo a un’altra persona: le ho regalato due settimane di sesso con un estraneo. Ero geloso e pensavo che anche a me non dispiacerebbe. Ho cominciato a fantasticare di prenderle un appuntamento per farsi bionda, per cambiare totalmente look. E mentre lei è dalla parrucchiera io mi scopo qualcun altro».

Dal momento che The Cynic è uno spettacolo dalla struttura così vecchia scuola, il rischio poteva essere che si riducesse a un lungo elenco di battute e barzellette più o meno riuscite. Ranganathan evita di sprecare così il suo ottimo materiale sfruttando due accorgimenti, uno tematico e l’altro stilistico. Per quanto i temi dello spettacolo varino e spazino dal veganesimo alla famiglia («A essere oggettivi, il mio secondogenito non è venuto bene tanto quanto il primo. Sto solo dicendo che se dovessi fare un’analisi costi-benefici del mio secondo figlio, probabilmente dovrei abbandonare il progetto»), dalle spiagge inglesi al cambiamento climatico («Capisco sia complicato preoccuparsi. Fuori fa caldo. E probabilmente, prima di diventare invivibile, la situazione migliorerà per un breve periodo: Glasgow, per un paio di settimane, sarà come le Barbados»), sullo sfondo c’è sempre la costante dell’auto-insulto a fare da ponte da un argomento all’altro.

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Romesh Ranganathan

E Ranganathan si depreca in una maniera così british da far venire un attacco epilettico a qualche anziano razzista eventualmente all’ascolto. «Ryan Reynolds dopo una mutazione è comunque più scopabile di quanto non fossi io il giorno del mio matrimonio, all’apice del mio fascino». L’accorgimento stilistico che Ranganathan utilizza per tenere insieme il suo spettacolo, invece, è rappresentato (coerentemente con la struttura lassa) dall’uso di lunghe parentesi: Romesh fa di queste divagazioni – e del ritorno improvviso al discorso precedente, o a volte anche a quello prima – un marchio di fabbrica, un filo rosso che ha l’espressione impudente di chi sa di essere più inglese di te.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.