Selezionato per rappresentare la Bolivia agli Oscar 2023, dal 20 ottobre 2022 è in sala Utama - Le terre dimenticate, lungometraggio d’esordio di Alejandro Loayza Grisi calato nella solitudine mozzafiato dell’Altiplano boliviano.

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Utama - Le terre dimenticate (2022) scena


Utama scandaglia le conseguenze dei cambiamenti climatici dal punto di vista di un’anziana coppia quechua di allevatori di lama (interpretata dagli attori non professionisti José Calcina e Luisa Quispe) la cui sopravvivenza dipende dal rapporto armonico con la natura: quando subentra la siccità, a disgregarsi è tutto il loro

Quando discutiamo del cambiamento climatico spesso e volentieri lo facciamo guardandolo da lontano; dalla rassicurante prospettiva delle nostre vite cittadine cerchiamo di cogliere l’insieme, e ragioniamo del fenomeno osservandolo nella sua globalità. In questo modo, però, rinunciamo alla possibilità di distinguere i volti, di accostare il sentire di quelle persone - più vicine a noi di quanto pensiamo - le cui esistenze sono già state stravolte. Resto convinto che la natura e la Terra ci sopravviveranno senza difficoltà, e proprio per questo penso che sia necessario iniziare ad affrontare la questione mettendo al centro l’uomo e, soprattutto, quelle popolazioni ai margini della Storia la cui voce fatica di più a farsi sentire: dietro ai nudi numeri snocciolati dal telegiornale, come dietro ai grandi eventi catastrofici che fanno da premessa a tanto cinema post-apocalittico, ci sono delle persone. Le stesse che con Utama cerco di guardare da vicino, azzerando la distanza per provare a empatizzare con la loro sofferenza.

Nel film fai cenno al disinteresse delle istituzioni, che spesso preferiscono assimilare le popolazioni indigene piuttosto che assisterle fornendo loro gli strumenti di cui hanno bisogno per preservare il proprio stile di vita...

È triste a dirsi, ma in Bolivia il governo non sta agendo né nell’uno né nell’altro senso: non sta facendo nulla per rendere meno dure le condizioni di vita di questi popoli, ma neppure si sta preparando a gestire l’ondata migratoria che sta investendo le città. Luoghi come quello che racconto sono destinati a spopolarsi: nella malattia del protagonista (un male con il quale l’uomo si rifiuta ostinatamente di venire a patti, allo stesso modo in cui si rifiuta di accettare la prospettiva che la sua terra non sia più abitabile) c’è implicata l’idea della scomparsa di un’intera cultura. Come nel film, il problema non è che cosa sceglieranno questi popoli - se restare, e morire, o andarsene, rinunciando alla loro identità - ma il fatto stesso che siano chiamati a una scelta simile.

C’è una grande cura nella composizione delle inquadrature, come se avessi frugato nel paesaggio dell’Altiplano per scovare in quell’ambiente terminale disperate tracce di bellezza. Utama è anche un requiem nostalgico per un mondo in procinto di andar perduto?
Sì, non sono partito con quell’intenzione ma alla fine è venuto fuori proprio quello, “nostalgia” è un termine che descrive bene il sentimento del film. Con Bárbara Álvarez (già DOP per Lucrecia Martel, ndr) non volevamo focalizzarci esclusivamente sulla spettacolarità dei paesaggi, cercando la bellezza a tutti i costi, ma restituire attraverso la fotografia - per esempio mostrando la luce del sole che preme dall’alto sulle teste dei personaggi, quasi schiacciandoli - l’asprezza di quell’ambiente, il senso di desolazione e solitudine che ti pervade quando sei al cospetto di quella tragica bellezza.

Il modo in cui filmi il paesaggio (campi lunghi, inquadrature fisse, altissima definizione...) cala lo spettatore nella dimensione contemplativa che è propria dei personaggi, lo immerge in quel sentimento circolare del tempo che appartiene a loro.

Nell’Altiplano andino, a 4.000 metri di altitudine, ogni cosa è diversa da come la conosci. L’aria è più sottile, l’atmosfera è più luminosa, il tempo è più lento e funziona diversamente perché diverse sono la percezione e la concezione che se ne hanno. Ti basti pensare che per alcune culture indigene della Bolivia il futuro non sta davanti a noi ma dietro, alle nostre spalle; davanti ai nostri occhi c’è il passato, perché a differenza del futuro lo conosciamo e lo possiamo guardare: per loro, il cammino verso il futuro procede a ritroso. Essere in quei luoghi è un’esperienza unica e peculiare che volevamo tradurre in immagini servendoci di tutti gli strumenti messi a nostra disposizione dal cinema. Parallelamente, desideravamo portare lo spettatore più vicino possibile ai personaggi, così abbiamo lavorato con il sound design, enfatizzando il respiro affaticato di Virginio per farne una presenza sonora costante e avvolgente.

La colonna sonora, invece, ricorre a strumenti musicali tradizionali per veicolare un senso d’inquietudine e straniamento.

Ho lavorato con l’Orquesta experimental de instrumentos nativos, un ensemble che associa strumenti musicali andini all’armonia e al sistema tonale occidentali, generando un contrasto, un cortocircuito che ben traduce la sensazione di un luogo familiare che smette poco a poco di essere tale.

Autore

Caterina Bogno

Caterina Bogno è nata a Varese, dove vive, e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne con una tesi sulla cronaca nera di Dino Buzzati. Scrive di cinema, televisione e libri su Film Tv, per il quale cura la rubrica Leggo, e collabora con Gli Spietati.it. Musica (dal vivo), gatti (rossi) e viaggi (malamente organizzati) le altre sue passioni. 

Il film

locandina Utama - Le terre dimenticate

Utama - Le terre dimenticate

Drammatico - Bolivia, Uruguay, Francia 2022 - durata 87’

Titolo originale: Utama

Regia: Alejandro Loayza Grisi

Con José Calcina, Luisa Quispe, Santos Choque

Al cinema: Uscita in Italia il 20/10/2022

in streaming: su Apple TV Amazon Video