Le leggi di Almodóvar

Forse per avere le idee più chiare bisognerebbe partire stavolta da La legge del desiderio, film numero 7 di una filmografia densa, depositaria nell’elenco cronologico di una progressiva mutazione stilistica, di un ribaltamento di sguardo dalla iniziale provocazione radicale, nutrita anche da un fermento politico che scuoteva la Spagna del dopo Franco, alla odierna nostalgia del tempo perduto e da un bisogno consapevole di memoria, anziché progettualità. Per chi ancora non avesse chiarezza o conoscenza della sintassi cinematografica di Almodóvar (ormai da tempo firma i suoi lavori col solo cognome), cioè di uno dei più importanti registi europei dell’ultimo mezzo secolo (e il più fondamentale nello stesso periodo per la Spagna), adesso CGTV mette a disposizione dieci sue opere (da L’indiscreto fascino del peccato, 1983, a Volver, 2006), che ne rappresentano quantomeno la fase giovanile, in avvicinamento già a una maturità artistica.

La legge del desiderio è il primo segnale significativo della forza espressiva di un autore, che si metteva del tutto in gioco, anche come persona, come artista, in quel modo, da gay a tratti quasi sfacciato, e in quel mondo che già ne contraddistingueva l’originalità. Si sbriciola il camp (senza mai disfarsene) e si abbraccia incondizionatamente il mélo, segnale insostituibile in una carriera compatta, pur nella sua evoluzione che già si diceva, e che in epoca recente si riverbera in Dolor y gloria, non a caso con echi e rimandi anche alla gioventù di un regista in declino, non solo dal punto di vista fisico. Dieci film per un percorso che graffia come non mai, dentro comunque a uno struggente sintomo di solitudine e disorientamento. Carne e sentimento, passione e turbamento: è il ragazzo che arriva a Madrid con le radici rurali della Mancia, l’adolescente ribelle dallo sguardo insolente. Con La legge del desiderio l’orizzonte è identificato, la strada tracciata, come il recente doc di Catherine Ulmer López (Almodóvar, lo sguardo insolente) spiega bene.

La mala educación è senza dubbio un secondo attestato imperdibile, cortocircuito non soltanto cromatico (rosso/nero), labirinto di identità manipolate anche metalinguistiche, epifanie e inganni, adolescenze agitate in fieri, travestimenti e miraggi. Altrove ci si muove tra Tacchi a spillo, elemento sensazionale di personalità, e Donne sull’orlo di una crisi di nervi, sagace e fortunatissima commedia, che vede Almodóvar verso la vetta degli incassi; tra un indiscreto fascino del peccato, dove lo sberleffo centra l’obiettivo della borghesia e della dissolutezza delle suore in un convento, e Che ho fatto io per meritare questo?, dove il grottesco irrompe con disinvoltura appropriata, un po’ Ferreri, un po’ Buñuel; fino ad arrivare a Parla con lei e Volver, opere che annunciano una visione quasi straziante della vita e un racconto che si nutre del passato, come esigenza futura di un cinema e un autore ormai maturi.

Almodóvar su CGTV