Rachel Sennott non è andata a HBO per masticare cingomma, né per prendere a calci nel sedere qualcuno; è andata a HBO per farsi produrre una commedia che parla di gen-zedder e di Los Angeles. E ha finito tutte le didascalie, dunque si è dovuta inventare un cold open che rappresentasse al meglio, plasticamente e con la giusta economia di parole, le sue ambizioni. Niente di meglio, dunque, di una sessione di sesso mattutino di compleanno durante una scossa di terremoto confermata dall’apposita applicazione sullo smartphone – conviene averla, se vivi appena sopra la faglia di Sant’Andrea – e totalmente ignorata dalla protagonista, fiera rappresentante di una generazione di nativi digitali consapevoli che di fronte all’apocalisse l’unica risposta plausibile è: se proprio dobbiamo morire, io voglio solo avere un orgasmo. Titoli di testa.

Dunque com’è la vita di questi rampanti ventisettenni del 2025 a Los Angeles? Beh, dipende. Se sei una nepo baby puoi limitarti a fare da consulente alle tue amiche sulle diverse tonalità di scompensi di karma a seconda delle tue scelte su Instagram: bloccare o silenziare, questo è solo uno dei tanti dilemmi. Se sei la festeggiata Maia e ti tocca lavorare – comunque solo il pomeriggio e nemmeno in zolfara, ma come aspirante agente di spettacolo in una start up tutta al femminile – la vita è leggermente più grama, ma non per i motivi che potreste immaginare.

Maia non ha grossi problemi di soldi e vive con un fidanzato insegnante (Josh Hutcherson) tutto cucciolino e supportivo. Ma vuole lamentarsi perché sente ardentemente di meritarsi la promozione a junior manager che tarda ad arrivare, tanto da convincersi a chiederla apertamente. Per fare leva sull’anzianissima titolare millennial – una che probabilmente, da piccola, ha avuto un telefono fisso in casa – si vanta di quella volta, quando studiava a New York, in cui ha trasformato una wannabe influencer, Tallulah, in una star virale suggerendole di filmare un video in bikini nella stazione della metropolitana durante il COVID.

Potrebbe essere la svolta per Maia. Non foss’altro perché almeno riuscirebbe a dimostrare l’esperienza da manager necessaria per ottenere la promozione a manager, un grande classico dei datori di lavoro che, da che mondo è mondo, hanno bisogno di gente giovane ma già imparata. Peccato che Maia e Tallulah, oltre che collaboratrici, a New York siano state anche grandi amiche best friend forever che hanno scazzato male. Dovevano trasferirsi insieme in California e continuare a braccetto la loro trionfale scalata nel mondo dello spettacolo dei social, ma Tallulah l’ha messa in quel posto a Maia preferendo farsi rappresentare da un’agenzia importante e lasciando sola l’amica, che si è sentita tradita. E l’ha fatto anche con discreta spensieratezza e leggerezza, perché il mantra dello zoomer che se la vive davvero bene è che la soddisfazione e il successo personali vengono prima di tutto. Non esiste la postilla “a discapito di”, perché tendenzialmente gli altri non esistono se non come funzioni esternalizzate di noi stessi. E se quel successo non arriva, basta modellare la realtà a proprio piacimento. Specialmente in una città come Los Angeles, dove la cosmesi è quasi un obbligo costituzionale.

Il grande trucco che questi ventenni in viaggio verso i trenta usano per risolvere i loro problemi personali, dunque, è semplicemente non parlarne ad alta voce, fingere che tutto vada bene, comportarsi in maniera passivo-aggressiva e tentare di essere prevaricatori, ma senza essere litigiosi. Tutti hanno bisogno che tutto ruoti intorno a loro. E tutti si lamentano che tutti gli altri si comportano in modo che tutto ruoti intorno a loro. È una volta celeste di stelle nane che ruotano attorno a se stesse e sono convinte che il resto del mondo sia nella loro orbita. Stelle che a un certo punto scoppiano e, a fatica, ce la fanno a essere veramente se stesse, senza bisogno di trucco o di palco, anche se solo per un breve momento.

I Love LA incapsula nel suo episodio pilota questo e molto altro, fotografando con consapevolezza gli alti e i bassi di una cosmogonia che esiste davanti agli occhi di tutti e rappresenta un pezzo importante di futuro. La cosa meravigliosa, è che a raccontarla con questo tipo di maturità narrativa (davanti e dietro la macchina da presa) sia Rachel Sennott, trentenne che ancora una volta (dopo aver co-sceneggiato e interpretato il ruolo di PJ nel magnifico Bottoms) dimostra di avere il polso della sua generazione e, soprattutto, i mezzi per raccontarla con modalità interessanti e stimolanti.

Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta