Meglio pazzi che tristi: la battuta, lanciata quasi per gioco nel cuore di un film che invece non scherza affatto, riassume la filosofia di Amleto è mio fratello, esordio alla regia cinematografica di Francesco Giuffré su Rai 2 il pomeriggio del 16 novembre. Il film si inserisce nel solco del “cinema dei matti”, ma non si accontenta della forma, né cerca scorciatoie emotive: racconta un’umanità fragile, testarda, teatrale, e soprattutto libera.
La cornice è quella di un road movie che abbraccia i codici della commedia ma non ne fa rifugio. Al centro, la fuga di quattro attori diversamente abili verso un provino teatrale: una storia che sembra piccola, ma che si misura con temi vasti – libertà, identità, normalità – cercando risposte più nel cuore che nella testa.
Giuffré, figlio d’arte e regista teatrale presso il Teatro Patologico di Roma, porta sul grande schermo ciò che conosce a fondo: la bellezza anarchica del disagio mentale e la forza disarmante di chi lo abita ogni giorno senza retorica.

Una notte da protagonisti
La vicenda del film di Rai 2 Amleto è mio fratello prende il via con un gesto semplice e radicale: Paolo, Paolone, Andrea e Carlo, quattro uomini con differenti forme di disabilità mentale, decidono di scappare. Non da una clinica, né da una gabbia, ma da una quotidianità che, per quanto protetta, non li lascia decidere da soli. Hanno un sogno – recitare l’Amleto in un grande teatro di Napoli – e l’urgenza di inseguirlo.
A bordo di un pulmino sgangherato, lasciano Roma all’alba, mentre sullo schermo scorrono le loro schede cliniche come titoli di testa. Il registro scelto dal regista è dichiaratamente teatrale: i personaggi si presentano frontalmente allo spettatore, senza filtri, e la narrazione li segue con la complicità della commedia, ma senza mai negar loro profondità.
Il viaggio si trasforma presto in un percorso accidentato, fatto di imprevisti e incontri: un furto che lascia i protagonisti senza medicine, l’arrivo in un luna park decadente gestito da un ex attore in carrozzina, la scoperta di una famiglia hippy norvegese, la figura tenera e caotica di Chloe, la tossicodipendente Mia, il commissario Grani (una Claudia Gerini misurata e partecipe) lanciata al loro inseguimento non per arrestarli, ma per proteggerli. Ma nessuno salva nessuno, perché i veri protagonisti della storia sono già abbastanza completi, nella loro fragilità, da potersi difendere da soli. A modo loro.
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I magnifici quattro
Il cuore del film di Rai 2 Amleto è mio fratello sono i suoi quattro protagonisti: Paolo Vaselli, Andrea De Dominicis, Carlo Di Bartolomeo e Paolo Giliberti. Non sono professionisti “normodotati” chiamati a imitare la disabilità, ma attori veri, già attivi nel teatro di Dario D’Ambrosi, qui chiamati a interpretare se stessi. Il risultato non è un’operazione documentaristica, né un’autocelebrazione del coraggio, ma una messa in scena sincera, che non si vergogna della propria emozione.
Ciascuno dei quattro ha una specificità che non viene mai usata come etichetta: Paolo, con la sua diffidenza e le ossessioni, è il leader accidentale; Paolone, fragile e buffo, è la voce dell’infanzia; Andrea, vanitoso e palestrato, rompe gli stereotipi della sindrome di Down; Carlo, il più introverso, sorprende con la sua memoria eccezionale. Insieme costruiscono un gruppo reale, imperfetto, esplosivo. Non eroi, non “poveri”, ma uomini in cammino, con tutte le complicazioni del caso.

Il mondo storto visto dai margini
Francesco Giuffré sceglie di raccontare il disagio psichico non come malattia, ma come lente diversa attraverso cui leggere la realtà. Il film di Rai 2 Amleto è mio fratello mette in discussione, senza proclami, i concetti di normalità e diversità. “Chi è davvero malato?” sembra chiedersi il regista, evocando anche l’esperienza di Alda Merini, le cui parole aprono il film come un manifesto: “A far del male oggi non sono i matti, ma i sani di mente”.
In questo universo narrativo, i veri disturbati sono quelli “fuori”: chi giudica, chi deride, chi pretende di sapere cosa sia giusto per gli altri. Il mondo “normale”, per i quattro protagonisti, è una zona incerta, piena di ostacoli ma anche di alleati inaspettati. Non c’è pietismo, ma nemmeno sarcasmo: le figure secondarie – Mia, Chloe, Cristian, l’attore circense – sono tutte, a loro modo, altrettanto marginali. Ed è in questa periferia dell’esistenza che si crea una solidarietà silenziosa, una complicità che sfida le categorie sociali.
La commedia che graffia
Giuffré gioca con il tono della commedia agrodolce, senza mai abbandonare la serietà del tema. Come in Si può fare o Quasi amici, il racconto utilizza l’ironia come leva per parlare di inclusione, ma evita l’effetto-cartolina. Se a volte il messaggio viene pronunciato troppo chiaramente, è anche perché il film non vuole lasciarsi fraintendere. Ma c’è una qualità rara nella sua messa in scena: la libertà di far ridere e commuovere senza dover spiegare troppo.
Ci sono scene visivamente poetiche – la nevicata su Napoli, citazione esplicita di Amarcord – e altre più grottesche, ma tutte restano legate a una realtà credibile, perché filtrate dallo sguardo dei protagonisti. Il risultato è un equilibrio difficile: un film che non giudica, non semplifica, non compatisce.

Un teatro dell’Altrove
Non è un caso che il gruppo teatrale di partenza si chiami, nel film, Teatro dell’Altrove: è proprio lì, in quell’altrove della mente e della società, che si colloca il senso profondo dell’opera. Il titolo stesso del film di Rai 2, Amleto è mio fratello, non è una boutade poetica, ma una dichiarazione politica. Shakespeare diventa un faro per chi, normalmente, non ha voce. La fuga verso Napoli è anche un viaggio simbolico verso il centro della cultura “ufficiale”, che i protagonisti vogliono raggiungere non da ospiti, ma da pari.
In tal senso, il film non è una rivendicazione, ma un’invasione pacifica. E quando finalmente i quattro arrivano a destinazione – stanchi, spogliati di tutto, persino delle medicine – hanno già vinto. Perché hanno dimostrato che non esistono ruoli fissi, nemmeno nella vita, e che il teatro – come il cinema – può essere uno spazio aperto, capace di accogliere tutte le differenze.
Il coraggio di essere fuori scena
Il film di Rai 2 Amleto è mio fratello nelle sue imperfezioni ha un pregio enorme: non si nasconde. Non nasconde i suoi protagonisti dietro la retorica, non nasconde il suo messaggio dietro l’allegoria, non nasconde le sue imperfezioni dietro la tecnica. È un film che guarda negli occhi, con sincerità e un pizzico di follia, e chiede al pubblico di fare lo stesso.
In un panorama dove la diversità viene spesso rappresentata da chi non la vive, Giuffré compie un gesto radicale: dà il microfono a chi di solito resta fuori scena. Il risultato è una storia piccola, sì, ma che riesce a mettere in discussione interi sistemi. Perché, come diceva Alda Merini, “i matti sono simpatici”. E soprattutto, a volte, sono gli unici ad avere ancora qualcosa da dire.
Filmografia
Amleto è mio fratello
Commedia - Italia 2023 - durata 92’
Regia: Francesco Giuffrè
Con Paolo Vaselli, Andrea De Dominicis, Carlo di Bartolomeo, Paolo Giliberti, Vincenzo Salemme, Claudia Gerini
Al cinema: Uscita in Italia il 31/08/2023
in TV: 16/11/2025 - Rai 2 - Ore 15.20


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