Ci lamentiamo sempre che le serie Mediaset rifanno (spesso peggio) quelle Rai e non riescono più a incidere nei consumi del pubblico della fiction, ormai smarrite in un palinsesto di Canale 5 tutto reality strabolliti, soap turche a ogni ora e vecchie glorie sfiatate. Verissimo. Tanto più, allora, brilla quale eccezione questa Doppio gioco che potrebbe indicare una via sensata per il futuro, nonostante sia stata mandata un po’ al massacro a inizio estate, quasi non ci si credesse abbastanza. Il titolo è da prendere alla lettera: Daria Giraldi (Alessandra Mastronardi), giocatrice d’azzardo abilissima, fin dall’infanzia, a leggere chi ha di fronte, non solo al tavolo da gioco, dopo essere stata condannata ai lavori socialmente utili, si ritrova a operare sotto copertura per i servizi segreti per incastrare tal “Gemini” (Max Tortora), un genio del crimine internazionale che si rivela essere il padre Pietro creduto morto in un attentato anni prima e suo cattivo maestro.

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Doppio gioco

Come si vede, tra le righe, ci sono diversi ingredienti oggi appetiti dal pubblico, non solo nelle serie italiane, qui cucinati con un certo brio per Fabula Pictures (da Baby Un’estate fa) da autori e sceneggiatori (tra i quali lo scrittore Sandrone Dazieri, presenza ricorrente nella detection tv di questi anni): in ordine sparso, un’eroina dal lato oscuro, con un trauma familiare irrisolto nel passato, un talento straordinario quasi al confine con il superpotere (come nella coeva Sara - La donna nell’ombra su Netflix), soprattutto un mondo in grigio dove non si sa mai di chi fidarsi (i servizi segreti, ugualmente ambigui, c’erano anche in Il clandestino su Rai1 e, di nuovo, in Sara). Però, probabilmente, il plusvalore sta nella coppia protagonista padre-figlia, rispettivamente Max Tortora e Alessia Mastronardi, entrambi rivelati davvero nella fiction proprio su Canale 5 da I Cesaroni ormai vent’anni fa: se la seconda ha modo di mettere a fuoco certe zone d’ombra finora insospettate, è in particolare il primo la piccola grande rivelazione di Doppio gioco, grazie a una maschera ambigua e inquietante lontanissima dalle sue irresistibili caratterizzazioni comiche, abile a rendere credibili le continue rivelazioni sul personaggio (c’è di tutto: la finta morte, l’amnesia, il passato nelle forze dell’ordine), a un certo punto oltre ogni verosimiglianza.

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Doppio gioco

È grazie a loro, più che al rapporto (anche sentimentale) litigarello di Daria con Ettore, il maggiore della guardia di finanza suo supervisore (Simone Liberati, almeno una faccia poco usurata), che si può stare al gioco fino alla fine, per capire se quello che succede tra padre e figlia è l’inizio di un nuovo rapporto o soltanto l’ennesima conferma di un’arte del raggiro che Pietro ha sempre insegnato a Daria, al contempo la sua migliore allieva e la sua prima vittima. Lungo i tornanti di una vicenda dove nulla è mai quello che sembra, ben assecondata dalla regia di Andrea Molaioli, efficace anche nei momenti d’azione, succede di tutto di più, con un buon parco di facce in secondo piano (in primis il dirigente dei servizi Longardi, un Diego Ribon enigmatico come il ruolo richiede). Finale un po’ troppo garibaldino, ma potenzialmente aperto. Bisognerebbe proseguire, almeno in questa direzione. L’avranno capito a Mediaset?

Autore

Rocco Moccagatta

Studiava giurisprudenza, ma andava più spesso al cinema di quanto avrebbe dovuto. Dopo l'università, fa la cosa giusta e comincia a occuparsi davvero di film, persino professionalmente. Oggi lo insegna pure, il cinema, in IULM e in altre università del regno, soprattutto il cinema classico e il cinema dei generi popolari, la sua passione da sempre. Per campare guarda anche molta televisione, visto che lavora come scenarista e analista dei media presso la factory di media research Neopsis. Ha scritto e scrive da tante parti, da Duel/Duellanti a Marla, da Ottoemezzo a L'officiel Homme.