Fare un po’ d’ordine nel comparto “comicità ebraico-americana” al cinema è impresa titanica. Ci aveva provato Enzo Ungari per smontare punto per punto il primo Woody Allen, che detestava. Ma poi, fulminato sulla via di Io e Annie, era tornato sui propri passi, ammettendo la bravura del cineasta newyorkese. Per Ungari, le due matrici erano più o meno queste: i Marx (dai quali Allen) e Hellzapoppin’, da cui Mel Brooks. Certo il critico spezzino trascurava Jerry Lewis perché convinto - come noi - che si trattasse di un unicum incommensurabile, un genio assoluto, sullo stesso piano di Keaton, Charlot e Tati. Mentre gli ebrei austro-tedeschi dell’Asse (inteso come Vienna-Berlino-Hollywood) hanno sì influenzato la cultura americana, ma con uno sguardo prima straniero, poi apolide, mai integrato. Mel Brooks, nato Kaminsky il 28 giugno 1926, è comunque diverso da tutti i colleghi che lo hanno preceduto.

Mel Brooks
Mel Brooks: Make a Noise (2013) Mel Brooks

Personaggio funambolico, scrittore infaticabile (di racconti, sceneggiature, canzoni, dialoghi, gag...) multimediale prima ancora che il termine significasse qualcosa, capace cioè di passare senza soluzione di continuità da Broadway a Hollywood agli studi Tv senza mai perdere inventiva e coerenza. Se ci fate caso, il comico ebreo-americano ha un’ossessione: il “metadiscorso”, ovvero il continuare a ragionare sul meccanismo di traduzione del racconto (teatro, cinema, Tv, comunicazione orale) e sul suo contenuto, interrogandosi senza sosta sui limiti del primo e sulla reale profondità del secondo. Vogliamo vivere di Lubitsch è la storia di una rappresentazione teatrale, così come Per favore, non toccate le vecchiette! (meglio il titolo originale, The Producers: resta questa l’opera più importante di Brooks), mentre Hellzapoppin’ di Henry C. Potter racconta la scalcagnata messa in scena di un film.

Zero Mostel, Gene Wilder
Per favore, non toccate le vecchiette! (1967) Zero Mostel, Gene Wilder

Fa parte della tradizione ebraica continuare a porsi domande sul testo (o con la T maiuscola, perché naturalmente tutto parte dal rapporto con la Torah), da qui forse l’impulso a smontare il giocattolo delimitando il fragile confine tra vero e assurdo. Un guado in mezzo al quale sta appunto la finzione. Allora, se una macchina da presa carrella in avanti verso una finestra chiusa, o si ferma o spacca il vetro (Alta tensione). Ma anche: se la musica extradiegetica si fa incalzante, apri l’armadio e trovi chi la suona (Allen, Il dittatore dello Stato libero di Bananas). E ancora: un telefono squilla in primo piano, dalla profondità del campo si avvicina un uomo a rispondere, la cornetta è ancora enorme rispetto alla figura umana che la raccoglie (Top Secret!, Zucker, Abrahams, Zucker). Da qui il desiderio irrefrenabile di trasformare il metadiscorso in parodia, ed è proprio di questo passaggio che Brooks è maestro indiscusso.

Mel Brooks
Alta tensione (1977) Mel Brooks

L’icona pop dell’epoca è James Bond? Bene, ti invento un omologo cretino che ribalta l’assunto superoistico (Get Smart, 1965: 138 puntate, quasi tutte scritte da Mel). Hitchcock è un genio? Occhio che ti smonto pezzo per pezzo il suo metodo per creare suspense (Alta tensione). A nessuno più interessa il cinema muto? E allora lo rifaccio fedelmente trasferendo nelle didascalie ogni volgarità, e facendo dire l’unica parola di tutto il film («Oui?») a uno che non ha mai parlato in vita sua (Marcel Marceau). Torna di moda l’horror classico? Pronti.

Teri Garr, Gene Wilder
Frankenstein junior (1974) Teri Garr, Gene Wilder

Frankenstein junior, oltre a essere la prova migliore del Brooks regista cinematografico, è nel corso del tempo diventato un classico a sua volta, complici le battute e le maschere cucite addosso ad attori ormai entrati nella leggenda (Marty Feldman Igor, o Aigor; Gene Wilder Frankenstein, o Frankenstiin). Come tutti i giochi, anche quello della parodia è bello se dura poco, non a caso “le ultime follie” di Mel sono quasi letali. Un tremendo Dracula con Leslie Nielsen, un Robin Hood dimenticato in fretta e furia... E va detto che il metodo del Nostro ha generato qualche mostriciattolo (del quale, sia ben chiaro, è incolpevole), magari passando attraverso Zucker, Abrahams, Zucker, per approdare a cose più sconsiderate come i recenti Scary MovieEpic MovieDisaster Movie... Nessuna teorizzazione di riguardo negli epigoni, solo grana grossa e mimetismo bassissimo, studiato alla bisogna per teenagers un po’ - diciamolo - rincoglioniti. Invece in Brooks c’è sempre stato un fine, nel suo accumulo hellzapoppiniano. Quello di riempire il vuoto. Vuoto di intelligenza, creatività. Vuoto di morale, amore. Quel vuoto che lascia spazio ai peggiori istinti, alla Bestia (magari una Mosca come nel film di Cronenberg, che ha prodotto, così come Elephant Man di Lynch). Il vuoto su cui può fare breccia il nazismo per esempio, di cui può essere intrisa una pièce prodotta apposta per nauseare, e che invece finisce per piacere a tutti.

Zero Mostel, Gene Wilder
Per favore, non toccate le vecchiette! (1967) Zero Mostel, Gene Wilder

Autore

Mauro Gervasini

Firma storica di Film Tv, che ha diretto dal 2013 al 2017, è consulente selezionatore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e insegna Forme e linguaggi del cinema di genere all'Università degli studi dell'Insubria. Autore di Cuore e acciaio - Le arti marziali al cinema (2019) e della prima monografia italiana dedicata al polar (Cinema poliziesco francese, 2003), ha pubblicato vari saggi in libri collettivi, in particolare su cinema francese e di genere.