Nicole Kidman in The Hours

Nessuno apprezzava il naso finto di Nicole Kidman nei panni di Virginia Woolf. Non gli spettatori, né i critici, distratti dal trucco; non Denzel Washington, che lo canzonò annunciando l’Oscar vinto da Kidman; né tantomeno Harvey Weinstein, che si oppose invano.

Poco importava che Kidman, mancina, avesse imparato a scrivere con la mano destra per il ruolo; che avesse letto i carteggi di Woolf; che avesse offuscato (col talento, non col trucco) la sua statuaria figura e l’innata alterigia del volto per dare vita a una donna timorosa e tormentata. Il naso finto copriva tutto il resto, perché a una diva non è concesso farsi non riconoscibile: deve essere se stessa, la sua versione fulgida e desiderabile, per essere consumata dallo spettatore.

Quando, all’altezza dell’Australia di Baz Luhrmann, Kidman ritenne di cancellare i segni dell’età con evidenti iniezioni di botox, le reazioni non furono troppo lontane dalla derisione raccolta dal make-up di The Hours: la diva non può trasformarsi, non può reagire all’età modificando il suo corpo; ma, si badi bene, nemmeno può invecchiare. Di questo dilemma il corpo attoriale di Kidman, nella sua algida, talvolta rigida, spesso prevedibile perfezione, è luminoso emblema: divina non per scelta, ma per forza, a 53 anni è avvolta da un’aura ultraterrena, e perfino (come in The Undoing) dalla cascata di onde fulve di inizio carriera. Le ore, per lei, si fermano.

Il film