Di solito, nelle fiabe, il senso del nome della principessa si scopre subito. L’etimologia nominale è specchio delle caratteristiche del personaggio ma anche coordinata narratologica per interpretare la direzione, il senso della storia: Bella si chiama così per la bellezza interiore che porterà la Bestia a trasformarsi; Raperonzolo è segnata dalla naturale ribelle vitalità dell’omonima pianta; Cenerentola prende il nome dalla cenere, anche se la sua vita accanto al focolare promette un diverso destino. Che cosa significhi Anora, invece, lo scopriamo solo alla fine. Non è solo l’esito di un ribaltamento.

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Anora

Per tutto il film, la protagonista (interpretata da Mikey Madison) lo dice chiaramente, non ne vuole sapere del suo vero nome; lei è semplicemente Ani, nomignolo utile a cancellare con un sorriso qualsiasi dubbio sulla propria origine altra, qualsiasi traccia del proprio passato, qualsiasi segno del lavoro in corso: sia alle colleghe spogliarellista dell’Headquarter, il locale in cui lavora sette su sette feriali inclusi; sia ai clienti molesti che comprano prestazioni nel privé; sia ad Ivan, ragazzo russo troppo viziato di lusso droga e sesso per immaginare di ritornare in famiglia.

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Anora

L’escalation romantica - prima l’incontro, poi l’esclusiva sessuale, e poi l’idea di un folle matrimonio – culmina a Las Vegas: il sogno della svolta per lei, la possibilità di dimenticarsi del nome, del lavoro, del passato per sempre; la Green Card da Peter Pan per lui. Almeno fino a che, dopo mezzanotte, non si spezzerà l’incantesimo e “Ani” smetterà di valer bene una messa ortodossa. Due per la precisione: prima quella del battesimo del nipotino di Toros, babysitter di Ivan incaricato di annullare il suddetto matrimonio; e poi quella, figurata, ad uso del buon gusto di Galina Zacharova e Nikolaj Zacharov, i genitori del ragazzo, miliardari russi con pied-à-terre a New York pronti a recuperare il figliolo per le orecchie dopo essere stati screditati dall’infamia che è volata di bocca in bocca fino alla madrepatria.

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Anora

Il nome (la nomea di) Anora ritorna, passa sulla bocca di tutti, tra galoppini e avvocati corrotti, e segna una distinzione sociale, una debolezza, un dislivello di classe (il capitale culturale diceva Bordieu) usato per ammutolire, dai documenti da siglare per cancellare ogni legame con Ivan a ogni possibile fantasia di ascensione. Oltre la soglie della proiezione d’amore, ecco che l’esito ribaltato della fiaba – struttura drammaturgica tossica, figliata dall’ottimismo crudele di una società in cui l’attaccamento affettivo a qualcosa che promette felicità è in realtà ciò che impedisce di raggiungerla – si incupisce nella mancata accettazione di un nome, di cui ci si vergogna.

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Anora

Eppure, ad Igor, taciturno “gopnik” tuttofare al soldo di Toros, il nome Anora piace molto. È lui a spiegarcene l’etimologia, quando a venti minuti dalla fine – dopo un lungo tempo passato ad osservare in silenzio – la protagonista ancora ribatte: “In America queste cose non ci interessano, non diamo significati ai nomi”. Ecco, Anora significa “luminosa, splendente”. La rivelazione suggerisce di rileggere il film secondo i suoi livelli di luminosità, considerando la luce un’allegoria della condizione sociopolitica della protagonista. Come per altri filmmaker indipendenti americani – produttori, sceneggiatori, direttori della fotografia e montatori dei propri film -, anche per Sean Baker (vincitore della Palma d’oro e di quattro premi Oscar in una sola cerimonia proprio per Anora) la luce più che un mezzo è unità minima, stile di scrittura della realtà, modo istantaneo per scolpire fuori dal flusso delle immagini digitali le tensioni che informano il presente.

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Anora

Guardate come la luce in Anora si spenga progressivamente, attraversando molti dei non-luoghi tipici della contemporaneità: prima è quella allucinatoria del night - neon su neon, in continui carrelli laterali per chiudere il tempo in uno spazio senza via di fuga, scatola senza fuga prospettica dove l’entropia corrisponde al flusso del denaro; poi diventa quella più seria e lussuosa di un’architettura alto borghese, una promessa di ampie stanze, e disimpegni, isole di velluto e bicchieri di cristallo; giù di qualche tono ed ecco che assume i connotati un po’ pacchiani degli hotel di Las Vegas, tra oro placcato e sbrilluccichi; per poi infine arrivare al color ferro, ingrigito, di Coney Island in inverno e della vecchia macchina con cui Igor riaccompagna in periferia Anora.

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Non è la prima volta che Baker – prendendo spunto dal lavoro di Owen Roizman, direttore della fotografia di grandi capolavori anni ’70 – trova nella luce una cerniera ideale per incastrare la stasi (l’impasse della prima parte è segno di tutti i personaggi del suo cinema) e il transito (l’iper-movimento della seconda parte è dinamica altrettanto centrale), muovendo drammaturgicamente queste due astratte forme di sintesi del tardo capitalismo, e quindi riproducendo in scala figurativa un’economia dove tutto si muove a grandi velocità per mantenere statici equilibri di conservazione. Solo che questa stessa condizione paradossale - presente appunto in tutti i suoi film, dalle radicalità di Prince of Broadway ai tentennamenti di Red Rocket – di immobile agitazione, mai prima d’ora era stata così definibile nella sua essenza di incanto – termine di sintesi per l’offuscamento cognitivo, il sortilegio magico e la vendita.

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Anora

Mai prima d’ora, infatti, il cinema di Baker era riuscito a trovare un’interprete così capace di trattenere addosso la luce in modo da permettere di intravedere, proprio lì tra le onde ultraviolette che si fanno espressione, la realtà del capitale contemporaneo sul punto di farsi soggettività: stato d’essere precario, situato ai margini, in fondo alla catena di produzione di valore, sia agente sia vittima delle stregonerie tardo capitaliste. Questo, infatti, esprime il volto di Mikey Madison, nel finale, quando il suo personaggio guarda Igor e l’anello di fidanzamento che quest’ultimo ha rubato a Ivan: uno “splendore” che rimbalza indietro – passando attraverso la camera - inceppandosi “come d’incanto”. Il capitale portato (davanti al nostro sguardo) al suo massimo grado di visibilità, un gradiente di intensità figurativa iconica, verrebbe da dire per l’insistita bidimensionalità, tale da risultare finanche didascalica.

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Anora

Non tutto però si dà attraverso la vista. Nel negativo, nello scarto di livello tra il bagliore accecante della luce ad alta intensità e la sua forma degradata, qualcosa si rivela. E, a sorpresa, non è un’etimologia o un’immagine, ma un suono. Ripetitivo, meccanico. Non è il commovente amplesso (non) condiviso da Anora e Igor, ma il suono dei tergicristalli automatici della macchina di Igor, che rimane con noi anche quando il film finisce.

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Anora

Al di là del visibile, oltre l’immagine, il loro estenuante movimento, il loro inarrestabile lavoro di sottofondo, senza sosta, emerge di straforo come un inaspettato effetto di realtà all’interno dei codici di un realismo fatto ormai di codici e convenzioni sempre più distanti e risaputi. È soprattutto grazie a questo punto (punctum) di ascolto inatteso, somma di tutte le figure marginali e di sfondo al lavoro durante il film – dalla cameriera russa Klara, pagata per stare zitta al rimorchiatore americano, passando per i manager d’hotel fino agli stessi galoppini –, che Anora retroillumina gli angoli ciechi, gli spazi tra-, i momenti morti di una società che sta cancellando la nozione di lavoro proprio come i luoghi e i tempi da cui il lavoro riemerge: meccanica d’essere silenziosa, ritmo del mondo.

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Anora

Autore

Leonardo Strano

Leonardo Strano si è laureato in Filosofia dell’Esperienza Estetica con una tesi sull’inconscio ottico in Walter Benjamin e Jacques Tati (il suo regista preferito). Mentre prosegue gli studi in Teoria dell’immagine scrive per Filmidee, Pointblank e DinamoPress.

Il film

locandina Anora

Anora

Drammatico - Usa 2024 - durata 139’

Titolo originale: Anora

Regia: Sean Baker

Con Mikey Madison, Mark Eydelshteyn, Yura Borisov, Karren Karagulian, Vache Tovmasyan

Al cinema: Uscita in Italia il 07/11/2024

in TV: 15/07/2025 - Sky Cinema Uno - Ore 02.55

in streaming: su Apple TV Mediaset Infinity Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video