Elenco sale: dove vedere Balentes

Qui il calendario delle proiezioni del tour divise per città. (in costante aggiornamento)


CAGLIARI

01-02 giugno - ore 19:00 e 21:00 - Cinema Odissea

03-04 giugno - ore 19:00 - Cinema Odissea

05-11 giugno - ore 17:00 e 18:30 - Cinema Odissea


SASSARI

01-04 giugno - ore 17:00 e 18:50 - Cinema Moderno


MACOMER (NU)

01-02 giugno - ore 20:30 - Cinema Costantino


LECCO

12 giugno  - ore 21:15 - Palazzo Belgiojoso

Premi / Festival

Alice nella Città / Roma Film Festival [ottobre 2024]


IFFR Rotterdam [febbraio 2025]


Nijgata International Animation Film Festival [marzo 2025 - Concorso Internazionale]


Evolve Award [a un’opera non vincolata ai confini del mondo della produzione 2D e 3D o stop motion o dei generi ma che dà evoluzione al mondo dell’animazione]

Motivazione Giuria: “Un avvincente, visionario e bellissimo film con un impressionante sound design che ci trasporta nella tragica storia e una scelta grafica precisa. Questo eccezionale film è audace, coraggioso e intenso. Speriamo che venga scoperto e celebrato in tutto il mondo.”

Bolzano Film Festival [aprile 2025 - in competizione]


24 Frame Future Film Fest (Bologna) [aprile 2025 - in competizione]

IrReal (Nuoro) [27 maggio 2025 - film di apertura]


Cartoon on the Bay (Pescara) [30 maggio 2025 - in competizione]


Animafest Zagabria - World Fest of Animated Film [giugno 2025 - in competizione]


Annecy Festival Intetnational du film d’animation [giugno 2025 - in competizione]

La recensione di Film Tv

Nel 1940, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Ventura e Michele, ragazzi sardi di 11 e 14 anni, rubano da una azienda agricola dei cavalli destinati all’esercito e a una anacronistica e atroce morte (vedi War Horse di Spielberg, ambientato però durante la Grande guerra). La soffocante atmosfera fascista dell’epoca, frutto di rassegnazione allo sfruttamento, mai dimenticate violenze squadriste, spie e delatori ovunque, mette in pericolo il successo del furto, o meglio della buona azione anti patriottica di liberare e nascondere animali non più adatti alle nuove tecnologie belliche... Non si rubano cavalli per arricchirsi, ma per ribellarsi al mondo. Ventura è come James Dean, come un beatnik.

scena
Balentes (2024) scena

È una coproduzione italo-tedesca il film d’animazione in bianco e nero del pittore, scultore e cineasta Giovanni Columbu - alla quarta opera dopo il processuale Arcipelaghi, il biblico Su Re e l’horror Surbiles - e si avvale come executive di Daniele Maggioni, già collaboratore di Soldini. È basata su fatti realmente accaduti nel Goceano (in sardo Sa Costèra, cuore settentrionale dell’isola), dove vengono allevati pregiati cavalli di razza anglo-arabo-sarda, quelli del Palio di Siena o del concorso ippico di piazza di Siena, raccontati al regista da sua nonna che fu testimone, insegnante e amica dei due balentes, come vengono chiamate in Sardegna le persone valorose e orgogliose, capaci di compiere gesti coraggiosi e senza alcun interesse personale. Libero e selvaggio come il vento, il cavallo al cinema è sempre stato un amico inseparabile dei ragazzi, basti pensare a Bersagliere e ai due piccoli lustrascarpe romani di Sciuscià (1946) che adorano cavalcarlo, alla Velvet (Liz Taylor) di Gran Premio (1944), che porta Pie al successo, o a Le avventure di Campione e Barry Curtis nel telefilm western ideato da Gene Autry alla metà degli anni 50.

Giovanni Columbu
Balentes (2024) Giovanni Columbu

Ma in Balentes (presentato in anteprima alla Festa di Roma 2024, poi a Rotterdam 2025), nato come film muto, poi parlato quasi interamente in sardo (con sottotitoli), nel quale non mancano i toni sussurrati dell’omertà o le donne velate che intonano i pianti funebri, gli attitos, il clima è molto più dark e debitore delle atmosfere inquietanti e demoniache - oggi così familiari - del cinema espressionista (citato anche Vampyr di Dreyer, colonna sonora compresa). L’animazione non è digitale ma analogica, forte è la componente pittorica, dai grigi violenti alla William Kentridge ai vuoti bianchi delle spazialità zen. Semplici tratti di pennello danno alle ruote del treno forme geometriche degne del miglior cinema d’avanguardia. Columbu usa la tecnica del “cartone morto”, tavole fisse che vengono via via animate, migliaia di disegni su acrilico e carta che passano al rotoscopio e reinventano celebri immagini di repertorio (Muybridge, Lumière...) o sequenze filmate ad hoc. Una tecnica che suggerisce gli eventi più che catturarli appieno, come spiega il regista: «Le figure non entrano né escono dal fuoricampo, ma compaiono e scompaiono in campo, sono evocazioni, apparizioni che svaniscono».

Roberto Silvestri (pubblicata su Film Tv n° 21/2025)

 

 

Intervista a Giovanni Columbu


Il principio dell’incertezza

Sardegna, 1940. Dopo aver scoperto che i cavalli di un’azienda agricola saranno venduti all’esercito, due ragazzi decidono di liberarli perché non muoiano in guerra. «È una storia accaduta 85 anni fa, raccontatami da mia nonna con una sorta di rimpianto per un giovane sfortunato, rimasto ferito e, forse, condannato a morire, ma che lei ammirava. Una storia che continua a esistere. Una storia che molti si sono adoperati a ricordare, ma altrettanti hanno cercato di dimenticare, come la famiglia del ragazzo che non poteva accettare l’infamia del furto, incapace di comprenderne il motivo e cioè il ribellarsi a quella legge di mercato che degrada tutto a merce, anche gli esseri amati, come, appunto, i cavalli». È così che Giovanni Columbu ci presenta Balentes, il suo nuovo film, sostenuto da Film Tv con Anima e corpo, che dopo esser stato presentato nel 2024 ad Alice nella città alla Festa del cinema di Roma, e poi all’International Film Festival Rotterdam, ad Annecy e ancora a IsReal (27/5-1/6), è in sala a partire dal 29 maggio e poi in tour in giro per l’Italia.

Ogni tuo nuovo lavoro riesce a sorprenderci e spostarci da dove il precedente ci aveva lasciato: dal dramma processuale con Arcipelaghi al film biblico (Su Re) e poi ancora il folk horror di Surbiles. Con Balentes non è tanto il confronto con un genere - volendo evocarne uno direi il western - quanto con una tecnica nuova: come mai l’animazione?
Per molto tempo sono andato al cinema per vedere le inquadrature, questo ovviamente dopo i miei esordi di spettatore che coincide con la scoperta del cinema espressionista che mi ha piuttosto traumatizzato, al punto che per trent’anni ho faticato a capire se le visioni che ricordavo fossero dei sogni oppure dei film, film che oggi, con le loro inquietudini, ci raccontano qualcosa che si sta riaffacciando. Ma già in quelle opere a colpirmi era l’impianto iconografico, le griglie compositive, le accentuazioni prospettiche. Questa attenzione per l’aspetto formale l’ho poi completamente abolita con Su re: dopo una vita trascorsa a studiarle non volevo più inquadrature, non volevo fare film per mostrare inquadrature ma altre cose: c’era una macchina orientata verso un soggetto, esposta a ogni possibile, eventuale turbativa, ma mai irrigidita su una forma troppo precisa. In ogni lavoro, comunque, subentrano delle nuove ricerche: Balentes è nato perché io avevo corredato la sceneggiatura con dei disegni, e questi disegni, una volta presentato il progetto al ministero, erano piaciuti tanto da farci ricevere un contributo per lo sviluppo. A quel punto s’è fatta strada l’idea di un film disegnato, composto coi cosiddetti “cartoni morti”, ovvero tavole fisse che poi si sono via via animate. Io, nonostante la mia formazione, non ho mai fatto animazione e non sapevo come si facesse, quindi sono andato avanti per prove tenendo come termine di riferimento gli esordi e non i risultati che si ottengono allo stato attuale, perché lo stato attuale è quello dei software, contro i quali non ho nulla, però trovo gli strumenti tradizionali più interessanti perché danno delle risposte meno prevedibili. I software sono concepiti in modo tale che se tu dai un impulso hai una risposta e se riproduci quell’impulso, quel comando, la risposta che ottieni è sempre quella. Carta e pennelli sono meno dominabili, hanno un carattere un po’ più ribelle, tendono a dire la loro e quindi a istituire un dialogo con chi li adopera; che poi è uno degli aspetti che mi hanno sempre interessato anche nel fare delle riprese. A me piace essere sulle cose che accadono in quel momento e lì valutare e decidere le soluzioni. In questa maniera il film, qualsiasi film, smette di essere l’esecuzione di un piano di prestabilito ma la testimonianza di qualcosa che è veramente accaduto, ovvero qualcosa di unico. Perché ciò accada bisogna ogni volta inventare nuovi stratagemmi: il metodo vale finché non ne si capisce il funzionamento, altrimenti è un inganno. Giorgio Agamben dice che il metodo si dà sempre a posteriori. Il metodo non può precedere l’opera, deve scaturire dall’opera. Il metodo va dimenticato perché va sempre ri-trovato, ri-scoperto, altrimenti sarebbe inefficace. Per me non bisogna lavorare nell’economia dell’esecuzione ma del ri-creare.

scena
Su Re (2012) scena

Nel Manuale di sopravvivenza in Barbagia di Antonangelo Liori si legge: «Se questo mondo fosse fatto di balentes, sarebbe un gran bel mondo». Cosa significa questa parola e perché l’hai scelta come titolo?
Balentes, in sardo, vuol dire uomini di valore, capaci di compiere gesti coraggiosi. Non si tratta solo di capacità, cioè di forza, di destrezza, ma comporta anche una condizione morale, ovvero l’assenza d’interesse personale. È fare ciò che si ritiene giusto, o bello. Non conta solo l’esito, ma soprattutto la sfida. I balentes sono figure non così lontane dai rebel without a cause.

 

E infatti il furto di cavalli, centrale nel film, è un gesto appassionato e disinteressato; un furto commesso non per arricchirsi, ma per ribellarsi a un mondo che va in una direzione che il protagonista non condivide.
Avevo previsto anche altre battute nelle quali i genitori provavano a giustificarsi col ragazzo spiegando che i cavalli erano stati venduti perché ne avevano bisogno; al che lui doveva rispondere: «Allora perché non vendete anche me». Poi mi è sembrata esagerata, però ripensando all’oggi forse non sarebbe suonata così calcata. Oggi, dopo aver mercificato la cultura, dopo che la si è sottoposta agli indici di gradimento, il mercato ha fatto strada arrivando fino al punto d’includere gli stessi esseri umani. Anche noi siamo parte di un mercato e c’avviciniamo a un momento in cui potremmo essere considerati inutili. Questo sarà il tema del mio prossimo film, che sto già preparando partendo da un’antica leggenda sarda.

scena
Balentes (2024) scena

Ecco, vorrei ricollegarmi proprio a questa cosa che hai appena detto. Dicevamo all’inizio di come i tuoi lavori siano sempre imprendibili. In questa continua invenzione di forme ci sono però delle costanti: una su tutte il raccontare la memoria, una pratica sottoposta al principio d’incertezza che mi sembra possa essere considerata la cifra di tutto il tuo cinema. Questa cifra ha in qualche modo modellato il segno che hai scelto d’adottare? Balentes è un film d’immagini epifaniche, sospese, che affiorano e svaniscono, ma non sono mai evidenti.
Grazie per aver messo in evidenza questo punto. Il tema dell’incertezza della realtà m’è sempre interessato molto. In Arcipelaghi c’era: erano gli arcipelaghi, ovvero la frantumazione della verità, della realtà, del ricordo e del sogno. C’era in Su re, un film che risale ai Vangeli, opera letteraria che si fonde sul principio d’incertezza, tant’è che noi abbiamo, come in Rashomon di Kurosawa, una pluralità di racconti che si affiancano. È un tema affascinante non perché determina un’assenza, cioè la mancanza di certezza, ma perché determina una pluralità, una possibilità di declinare in molti modi e quindi di affiancare delle varianti. E questo tema ritorna anche in BalentesBalentes come ti dicevo è una storia che mi è stata raccontata da mia nonna. Come in ogni storia, c’è un trascorrere inesorabile dalla presenza, dalla concretezza della vita, al diventare una memoria, ecco perché relativamente alle figure ho adottato la soluzione che tu dici. Più che adottata, l’ho scoperta. In Balentes le figure non entrano né escono dal fuoricampo, ma compaiono e scompaiono in campo, sono evocazioni, apparizioni che svaniscono, ma che rivisitando dei luoghi si possono ritrovare, un po’ come accade con le Surbiles.
 

Balentes è tra i film che sosteniamo con Anima e corpo. Il titolo che ha tenuto a battesimo questo progetto è stato Invelle di Simone Massi, un’altra animazione fuori tempo, lontana dalle mode e dalle foghe del mercato. Due opere diverse, ma che si assomigliano per il lavoro compiuto sul sonoro. Una partitura mai didascalica, che suona misteriosa.
Ho capito che le immagini disegnate o dipinte sono più vulnerabili e quindi bisogna essere attenti a non soverchiarle per non ridurle soltanto a quel che significano. Balentes sarebbe dovuto essere un film muto e il muto, come sappiamo, può accompagnarsi a rumori e suoni. Capito questo, mi sono accorto che la musica andava usata con particolare attenzione e in linea di massima evitando le coincidenze drammaturgiche. Da qui la scelta di usare i componimenti di Alessandro Olla: lui ha creato una sorta di tessuto che si affianca alle immagini ma non le oltrepassa, perché sono immagini che non tollerano le aderenze, perché le aderenze sono invadenti. Questo distacco riguarda anche il parlato, tanto che all’ultimo momento sono intervenuto tirando colpi di machete per ridare voce, attraverso l’assenza di voci, ai disegni, perché si potessero vedere.

Matteo Marelli (pubblicato su Film Tv n° 20/2025)



Chi è Giovanni Columbu


In gara nella sezione Signs of Life del Festival di Locarno 70 (2017),
Surbiles esplorava le radici di una leggenda sarda. Il regista Giovanni Columbu aveva presentato il film sulle pagine di Film Tv n° 31/2017.

Non mi sono mai domandato quali fossero le ragioni per fare un film sulle “surbiles”. L’ho semplicemente intrapreso sulla scorta di racconti sentiti quando ero bambino e poi riemersi casualmente diversi anni fa mentre realizzavo Visos, un documentario sui sogni. Unico e per me bastevole movente il mistero e il fascino di quei racconti. Le surbiles sono donne apparentemente uguali alle altre a cui accade di vivere uno sdoppiamento mostruoso. Nel sonno o attraverso l’uso di unguenti magici, fra il tramonto e l’alba, abbandonano il loro corpo fisico e penetrano nelle case in cui ci sono dei bambini per succhiare loro il sangue. Possono mantenere le proprie sembianze o trasformarsi in fumo, in vento o in acqua, oppure entrare nel corpo di una mosca o di un altro animale. Questo sdoppiamento e questa metamorfosi vengono attribuiti alla volontà divina o al destino, “s’ustinu”, circostanza fatale e oscura che permea la cultura del mondo rurale della Sardegna. Inizialmente le donne surbiles sono inconsapevoli di esserlo. Tant’è che da parte della comunità non c’è condanna morale nei loro confronti, e nonostante il timore che suscitano vengono considerate innocenti. In altri casi e col tempo lo sdoppiamento e la metamorfosi si accompagnano alla consapevolezza, al dolore e al terrore del proprio stato.

scena
Surbiles (2017) scena

Per difendersi da queste donne si ricorre a semplici oggetti d’uso domestico messi in posizione rovesciata, oppure a un pettine, a una falce dentata, a un rosario o a dei granelli di semola. La surbile li conta e contando si incanta, perché non riesce a contare oltre il numero sette. Così ricomincia ogni volta da capo, fino all’alba, quando è costretta a rientrare nel proprio corpo. Sono storie e leggende di un mondo ormai quasi estinto, anche se non molto distante nel tempo, di cui i più preferiscono non fare memoria. Infatti ho trovato difficoltà a raccogliere le stesse testimonianze che fino a non molti anni fa si offrivano copiose e spontanee. I tempi a cui rimandano sono quelli in cui la mortalità infantile era elevatissima, soprattutto nella fase dello svezzamento. E viene naturale oggi pensare che la surbile non fosse altro che una costruzione fantastica su cui trasferire la responsabilità delle madri e la ragione di tante morti inspiegabili. Attualmente in quegli stessi paesi della Sardegna i bambini hanno smesso di morire, anche perché hanno quasi smesso di nascere.

scena
Surbiles (2017) scena

Alle povertà del passato e agli sconvolgimenti dovuti al sopravvenire della modernità sono succedute altre e inattese forme di povertà e il fenomeno drammatico dello spopolamento. Solo ora che il film esiste, sia pure come resoconto di una prima esplorazione e la ricostruzione recitata dei racconti, cominciano ad affiorare altre ragioni. Queste figure fantastiche apparentemente così lontane dal nostro tempo ripropongono l’universale conflitto tra il bene e il male, alludono alle diverse personalità che possono albergare in un medesimo individuo, incarnano l’inquietudine e la paura e richiamano l’incerta relazione tra la veglia e il sonno. In loro c’è dolore e, sia pure in modo distorto, c’è anche amore. Infine rimandano a un sapere dimenticato o rimosso, compreso quell’umano e civile sentimento di pena che la comunità provava nei loro confronti. E forse non sono esclusivamente frutto della fantasia popolare. 

Il progetto Anima e corpo

Ogni settimana (eccetto un paio di quelle estive) ci troviamo di fronte a decine di film in uscita nelle sale cinematografiche. Li recensiamo tutti, perché il nostro compito, da sempre, è segnalare a voi quello che c’è, dire cosa ne pensiamo, dare strumenti per una libera scelta. Sono film per cui usiamo parole, a cui diamo pollici, voti, pallini, opere che discutiamo e approfondiamo, e di cui, se ne vale la pena, torniamo a parlare. Ogni settimana poi, a pagina 3, di fianco al Marienbad (l’editoriale), indichiamo le nostre scelte. E vi ricordiamo, a pagina 23, gli imperdibili in sala. Eppure abbiamo l’impressione che non basti, che in questo troppo, in tanto rumore, in questo sistema velocissimo che dimentica in fretta, sia difficile prenderci cura quanto vorremmo dei film che amiamo.

Per questo abbiamo pensato a Anima e corpo - Le scelte di Film Tv. Un progetto che prevede di adottare pochissime opere selezionate secondo i nostri gusti e la nostra idea di cinema e critica (lo dico da sempre, che la miglior critica la fanno i film, no?) per sostenere, difendere, diffondere anima e corpo il cinema che crediamo essere meritevole. Che vorremmo vedeste, e discuteste con noi. Farlo sentire, dargli voce, cercargli un pubblico, accompagnarlo. Lo facciamo in sostegno e in accordo con i distributori e a favore delle sale, perché sappiano che quelle opere possono contare anche sul nostro supporto.

 

Balentes di Giovanni Columbu è il film che abbiamo scelto di sostenere dopo Invelle di Simone Massi, Bestiari Erbari Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, The Beast di Bertrand Bonello e la trilogia Sex Love Dreams di Dag Johan Haugerud.

Autore

AA.VV.

(a cura della redazione di Film Tv)

Filmografia completa

Arcipelaghi

Drammatico - Italia 2001 - durata 100’

Regia: Giovanni Columbu

Con Pietrina Menneas, Paolo Lostia, Giancarlo Lostia

locandina Su Re

Su Re

Sperimentale - Italia 2012 - durata 87’

Regia: Giovanni Columbu

Con Fiorenzo Mattu, Pietrina Menneas, Gavino Ledda, Giovanni Frau, Maurizio Melis, Tonino Murgia

Al cinema: Uscita in Italia il 21/03/2013

La Passione secondo Columbu, in Concorso al 30° Torino Film Festival, è un gesto cinematografico esaltante, arcaico e moderno, insieme locale e globale, terragno e rigoroso. Contemporaneo. Lontano dalla messa in scena piana, illustrativa, del Testo Sacro, Su Re è prossimo alla Messa: il regista, a 11 anni da Arcipelaghi, chiama a sé le istituzioni sarde per partecipare alla produzione, convoca il popolo di Oliena, nell’entroterra dell’isola (dove John Huston girò un frammento di La Bibbia) e fa recitare a non professionisti (compresi gli abitanti del Centro di Salute Mentale di Cagliari) lacerti di Nuovo Testamento. È un coro di volti e corpi in dialogo con il territorio, di voci che articolano la Storia Sacra nel dialetto indigeno: come una cerimonia locale, come un’appropriazione rituale di un sentimento universale. Un’eucarestia. Che guarda al cinema del reale, all’amatoriale (ci piace ricordare la recita in costume, trentina e dreyeriana, di Le fiamme del Paradiso di Luciano Emmer) e ci rammenta che il frammento è la forma principe del cinema d’oggi: Su Re, basandosi sulla lettura sinottica dei 4 Vangeli, rilegge la Storia del Cristo sotto altrettanti punti di vista. E, come un Rashomon pasoliniano, inceppa la traccia del tempo, narra e rinarra i medesimi eventi, ripete, varia, remixa. Così facendo sottrae il racconto evangelico all’automatismo, lo ripensa sulla pelle e nella terra, ne fa un’esperienza di attualizzazione sensoriale. E di condivisione, nell’asperità lancinante dei suoni, nella matericità odorante di immagini pittoriche, rudi, primitive, bellissime. (Giulio Sangiorgio, Film Tv n° 12/2013)
locandina Surbiles

Surbiles

Documentario - Italia 2017 - durata 73’

Regia: Giovanni Columbu

Al cinema: Uscita in Italia il 15/03/2018

in streaming: su Rai Play

Una leggenda lontana infetta le immagini del presente. Le surbiles, creature mitiche del folklore sardo, donne che si pensava succhiassero il sangue ai bambini entrando di notte nelle case sotto forma di fumo, vento, acqua, oppure trasformandosi in mosche, tornano come messaggere di una realtà insondabile. La loro presenza, evocata da uno studio antropologico condotto dallo stesso regista, s’impossessa della macchina da presa, trasforma lo sguardo sugli interni domestici in visioni da film dell’orrore. La casa diventa strumento di difesa (le surbiles si combattevano con oggetti rovesciati e riuniti a gruppi di sette, che poi le creature magiche si incantavano a contare fino all’alba) e al tempo stesso luogo di spavento. Le anziane intervistate rievocano racconti d’infanzia, ricordi di nonne o zie in lacrime di fronte ai corpi lividi di neonati morti per ragioni allora sconosciute, ammettono la possibilità che si trattasse di fantasie per spaventare i bambini, ma tutte si esprimono con un fastidio che tradisce autentica paura. I titoli di testa e di coda parlano esplicitamente di “film documentario”, e tale Surbiles lo diventa per il modo in cui osserva un mondo realistico e naturale (con le colline che in lontananza vanno a fuoco) farsi condizionare dall’invisibilità di una minaccia sinistra e presente. La cultura popolare definisce l’identità di una terra, ma per farlo si lascia dietro le tracce di un passaggio non sempre chiaro, non sempre benevolo: Columbu ne segue le orme incerte, registrando con la sua camera digitale la sovrapposizione di mondi distanti eppure vicinissimi. (Roberto Manassero, Film Tv n° 13/2018)
locandina Balentes

Balentes

Animazione - Italia, Germania 2024 - durata 70’

Regia: Giovanni Columbu

Al cinema: Uscita in Italia il 29/05/2025