L’amore folle, ma in verlan, ovvero a lettere invertite (L’amour ouf è il titolo originale): un po’ perché laureato all’università della strada (mica come quei borghesi fou dei surrealisti, e sicuramente agli antipodi di Jacques Rivette), un po’ perché non tutto sembra andare come l’incipit vuole (capito, Carlito’s Way ?), e soprattutto perché l’amore scompagina tutto, ma proprio tutto, linguaggio compreso. Lui (Malik Frikah da adolescente, François Civil da adulto) è un delinquentello irosissimo, con vocabolario decisamente limitato, pronto a sfogare sul mondo le botte del padre. Lei (prima Mallory Wanecque, poi Adèle Exarchopoulos) è una dura di un milieu differente, classe sociale media-borghese, cresciuta senza madre e con un padre amorevolmente preoccupato. Si scontrano, fuori da scuola. E dopo si amano, fortissimamente, a rotta di collo.

Jackie e Clotaire come Sailor et Lula. Un chewing gum che pulsa come un cuore selvaggio, attaccato alla parete. Proprio come la gioventù, solo lei, sa permettere. Proprio come se non esistesse null’altro. E invece. Il giovanotto finisce in prigione, un povero capro scelto per espiare le colpe del figlio del boss che gioca al padrino. Lei intanto cresce, non cambia, non lo dimentica, e si sposa con uno che non le basta e mai le potrà bastare. Quando Clotaire torna dalla galera, dieci anni dopo, lo fa in cerca di rivalsa e fanciulla. Con 457 parole tutte per Jackie.

Attore di consumo grand public tra commedia e action, al lungometraggio numero 3 da regista (il film segue il da noi inedito Narco e 7 uomini a mollo), Gilles Lellouche dispone di oltre 30 milioni di euro (merito della Chi-Fou-Mi di Hugo Sélignac) per riscrivere per immagini e suoni un libro irlandese regalatogli da Benoît Poelvoorde (Jackie Loves Johnser OK? di Neville Thompson) e farne un grande - no: esagerato - film francese, con il Leone d’oro Audrey Diwan alla sceneggiatura e un cast all star che rappresenta la fabbrica dei sogni di un intero paese (Alain Chabat, Vincent Lacoste, Élodie Bouchez, Raphaël Quenard, Poelvoorde per l’appunto), il tutto nell’annus domini di Il conte di Montecristo, di cui è opposto e completamentare, nemesi e concorrente: quel che ne esce è, semplicemente, una febbre, un gesto cieco di fede verso il cinema tutto, bello e bruttissimo, un’abbuffata romantica e criminale bigger than ogni-possibile-buon-senso, una versione tarocca e tamarra di un film di Claude Lelouch, un’opera proletaria ricchissima che ammassa con sdegno verso il buon gusto inquadrature impossibili, raccordi smaccatamente cafoni, dialoghi che sono sentenze da cinema al cubo, parentesi musical, riscritture di classici, parafrasi alla lettera di Scorsese e PTA, derive cinéma du look che piacerebbero a Besson e una cosa come dieci finali, uno via l’altro, come se quelle due ore e 41 minuti di melodramma bruciante non fossero sufficienti, come se fosse impossibile abbandonare la sala, come se quell’amore non dovesse finire ma insistere, non morire, vincere ogni cosa. Restare sullo schermo di un cinema, perché è solo e soltanto per il cinema. Andate e prendetene tutti.
Il film
L'amore che non muore
Sentimentale - Francia 2024 - durata 180’
Titolo originale: L'amour ouf
Regia: Gilles Lellouche
Con Adèle Exarchopoulos, François Civil, Alain Chabat, Vincent Lacoste, Elodie Bouchez, Benoît Poelvoorde
Al cinema: Uscita in Italia il 05/06/2025
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