Il doc La tv nel pozzo riflette sul racconto che la tv fece della tragedia di Vermicino, avvenuta nel 1981, quando il piccolo Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano. Ne parliamo con il regista Andrea Porporati.

" data-credits=
Andrea Porporati con Vanessa Incontrada sul set di I nostri figli

Parlando di tv, c’è un prima e un dopo la diretta non stop sul caso Alfredino Rampi?
È stato un evento spartiacque. Ero uno dei 20 milioni di spettatori della diretta, ero adolescente. All’epoca ho subito l’impatto di questa narrazione senza caprine la portata. Era la prima volta che si avvertiva così violenta la narrativizzazione di un evento, uno scontro così forte tra realtà e racconto.

Nacque la tv del dolore?
No, era una tv ancora composta, controllata, rassicurante. La tendenza a spettacolarizzare gli aspetti più pornografici del male è venuta dopo, è diventata una ricetta. Al tempo la potenza del mezzo sfuggì al controllo di tutti. Non credo ci fossero intenzioni ciniche, si voleva solo raccontare una storia a lieto fine: un paese intero che salva un bambino caduto in un pozzo. Invece, fu la storia di un fallimento.

" data-credits=
La tv nel pozzo

Cosa sopravvive del racconto di Vermicino nella tv di oggi?
Sicuramente il bisogno di trasformare le persone in personaggi, ma soprattutto l’eterna abitudine umana di governare il reale narrandolo, di dare un senso alla tragedia con il racconto. Anche lo stesso concetto di “ingiustizia” è una resa narrativa. L’esigenza penso sia sempre quella dell’elaborazione del dolore. Il rischio più grosso che la finzione può correre, è quello di essere retorica.

" data-credits=
La tv nel pozzo

È stato difficile non scivolare nell’ennesimo racconto di cronaca?
Abbiamo fatto un lavoro paziente di selezione del materiale tv. Lo sforzo è stato quello di tornare dall’evento in sé alla riflessione sui media, sui limiti della narrazione, sugli involontari rimandi iconografici del fatto. Era importante tenere separato ciò che al tempo si confuse: narrazione e realtà. Nel documentario intervisto i soccorritori, i giornalisti televisivi che hanno curato la diretta, ma soprattutto spettatori come me, orfani di questa catarsi negata, che hanno sentito di elaborare il trauma con il loro medium, la loro arte: Francesco Bianconi dei Baustelle con la canzone Alfredo, Giuseppe Genna con il romanzo di Dies irae, lo speleologo Maurizio Monteleone che partecipò ai soccorsi e anni dopo ha realizzato un graphic novel sulla sua esperienza.

Giuseppe Genna parla della tv come di «un pozzo che guarda un altro pozzo».
L’unica telecamera che la Rai aveva sul posto non aveva un vero punto di vista: non era uno sguardo elaborato da una regia, sezionato e selezionato da un montaggio. Questo fu il dramma televisivo di Vermicino. La regia era del paese intero, reso testimone del fatto attraverso un unico occhio. Le opere di Bianconi, Genna e Monteleone sono l’esempio della necessità di un punto di vista espressivo sul trauma, tentativi di chiamare per nome la tragedia.

" data-credits=
La tv nel pozzo

Autore

Matteo Bonfiglioli

Appassionato lettore delle tramette di Film Tv fin dalla tenera età, laureato all'Accademia di Belle Arti di Bologna e alla IULM di Milano, è un critico cinematografico sulla carta, un critico televisivo in tv, un monologhista in teatro, un moderatore su un palco e un proiezionista in cabina. Scrive del mondo per scrivere di sé. E viceversa.

Il documentario

locandina La tv nel pozzo

La tv nel pozzo

Documentario - Italia 2024 - durata 90’

Regia: Andrea Porporati