Ci sono voluti ben sette anni per realizzare gli ultimi due film della serie. Sette anni interrotti da una pandemia e da due scioperi che hanno bloccato Hollywood. Mission: Impossible - The Final Reckoning, diretto dal fido Christopher McQuarrie, conclude la vicenda iniziata con il precedente Dead Reckoning, che s’interrompeva con un cliffhanger da manuale (in tutti i sensi). Il nuovo film si presenta sia come compendio di quanto accaduto dal 1996 in poi, con il successo del capostipite di Brian De Palma, sia come riassunto del titolo precedente. Con sole tre frasi incentrate su “mondo” ,“verità” e “guerra”, The Final Reckoning si offre come un’istantanea del presente musk-trumpiano, nel quale l’AI Entity prende progressivamente il controllo del complesso militare per pianificare un’apocalisse nucleare (senza contare lo spettro del blackout...).

Per precisare tutti i nodi di una sceneggiatura che sembra, ammirevolmente, la parodia pynchoniana di una spy story non basterebbe un saggio; eppure Tom Cruise rende il tutto lineare e credibile affidando al suo virtuosismo attoriale (un’immobilità minimale degna di James Stewart, a tratti), e al corpo che lo veicola, una comprensione profonda della propria finitezza (sia come immagine - gli anni ci sono anche se non si vedono - sia come ultima testimonianza analogica che risale a Buster Keaton e a Douglas Fairbanks passando per Marlon Brando e James Dean). La malinconia della fine rende Final Reckoning - e questo è un merito enorme del film - meno immediato del capitolo precedente, offrendosi come un segno del tempo che trascorre (immobilmente...) mentre nodi invisibili vengono sciolti (stretti?) con audaci manovre di retroactive continuity.

Cruise, riflettendo nel legame con il suo gruppo di reietti e rinnegati l’immagine del suo lavoro di cineasta, mette in scena anche il vincolo che lo lega al pubblico e, come se fosse l’immagine del suo stesso lutto, riesce nel dare corpo a un paradosso: mentre vediamo il film, in una sorta di torsione teorica, osserviamo contemporaneamente il suo corpo come se fosse già al passato mentre in realtà, in spregio al fotorealismo digitale, celebra, ancora una volta, la tradizione che da Keaton giunge a Jackie Chan. Se la struttura da travelogue spionistico anni 70 è rispettata, il set piece acquatico (una sfida a distanza con James Cameron?) rivela il punto di contatto più radicale di Cruise con la morte - e il duello aereo finale, che evoca Wellman e il Corman di Il barone rosso, congiunge in un movimento ascensionale gli elementi dell’acqua e dell’aria: ossia si muore e si risorge. Profondamente politico (come, per esempio, The Apprentice non potrebbe mai essere) e radicalmente teorico, Final Reckoning è la quintessenza del cinema hollywodiano come cinema d’autore. Ogni dettaglio reca il segno del gesto poetico e politico di Cruise. Uomo-cinema purissimo, cantore di un fare analogico privo di qualsiasi nostalgia, così calato nel presente da presentare un omaggio alla poesia industriale del cinema di una volta. Una vera missione impossibile: Tom Cruise, oggi, è tutto il cinema possibile.
Il film
Mission: Impossible - The Final Reckoning
Spionaggio - USA, Regno Unito 2025 - durata 169’
Titolo originale: Mission: Impossible - Dead Reckoning Part Two
Regia: Christopher McQuarrie
Con Tom Cruise, Hayley Atwell, Ving Rhames, Simon Pegg, Henry Czerny, Esai Morales
Al cinema: Uscita in Italia il 22/05/2025
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