Nel 2010 i coniugi Barnett, statunitensi dell’Indiana e già genitori di tre maschietti, adottano la piccola Natalia Grace, bimba ucraina affetta da una rara forma di nanismo. Nel 2012, gli stessi Barnett avviano un procedimento per modificare la data di nascita di Natalia al 1989: diventa così legalmente un’adulta, e in quanto tale viene allontanata dalla famiglia e lasciata in un appartamento dove (soprav)vive da sola. Accolta da un’altra famiglia, i Mans, nel 2016 inizia insieme a loro una battaglia legale per ripristinare la sua data di nascita al 2003 e portare in tribunale i Barnett per abbandono di minore; nel 2019 è ospite di un episodio del popolarissimo talk show Dr. Phil e nel 2023 è al centro della serie documentaria The Curious Case of Natalia Grace, che danno alla vicenda una grande esposizione mediatica.

Giunge nel 2025 questa miniserie di fiction che cerca di fare chiarezza su un caso giudiziario respingente e complesso, ma al contempo anche di restituirne l’ambiguità: la Natalia Grace degli anni 10 era un’adulta sociopatica e intenzionata a spillare soldi ai Barnett, se non addirittura ad aggredirli o ucciderli, come sostiene la coppia? O era una bambina in età da scuola elementare, maltrattata, percossa e infine abbandonata a se stessa senza mezzi di sostentamento? L’obiettivo della creatrice Katie Robbins e della squadra di autori e registi (tra cui la documentarista Liz Garbus) è di mettere in luce gli aspetti ingannevoli e prismatici di ogni vicenda che l’inesauribile filone del true crime dà in pasto agli spettatori. Così la miniserie è spezzata in due dal punto di vista narrativo, con le prime quattro puntate girate e montate in modo da esprimere il punto di vista dei Barnett, progressivamente sempre più perplessi e poi scioccati dai comportamenti aggressivi e inquietanti della bambina adottata (influenzati, secondo alcune fonti, anche dalla visione di Orphan di Jaume Collet-Serra); a seguire, gli altri quattro episodi, in cui guardiamo il resto della storia con gli occhi di Natalia, scoprendo le violenze fisiche e psicologiche che ha subito.

Un campo e controcampo che ha soprattutto l’intento di smantellare la patina della brava famiglia americana dei Barnett, interpretati con notevole e perturbante bravura, in continua oscillazione tra candore bigotto ed egoismo malevolo, da Ellen Pompeo e Mark Duplass, scavando sotto la superficie scintillante dell’american way of life per distillarne ottusità, avidità, paura del diverso e il patologico bisogno di costruirsi un’immagine accettabile seppur fasulla. Impressionante anche la prova dell’attrice londinese Imogen Faith Reid, classe 1997, che intepreta Natalia in modo talmente cangiante e genuino da rendere credibile ogni opposta versione dei fatti. E il punto della serie è proprio l’impossibilità, narrativa e giuridica (la grottesca sequenza processuale in cui il giudice vieta di riferirsi a Natalia come “adulta” o “bambina”, ma solo come “persona nata nel 1989”), di afferrare quella verità che il true crime sembra per natura voler perseguire, restituendo le tante e inconciliabili sfumature di ciò che ci viene proposto come «tratto da una storia vera». Un bel monito, prima ancora che una bella serie.
La serie tv
Good American Family
Drammatico - USA 2025 - durata 50’
Titolo originale: Good American Family
Creato da: Katie Robbins
Con Mark Duplass, Jenny O'Hara, Katie Robbins, Ellen Pompeo, Kario Marcel, Imogen Faith Reid
in streaming: su Disney Plus
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