Nel suo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Elio Petri sceglie di collocare l’abitazione del “Dottore” interpretato da Volonté in un celebre villino brutalista romano. La decisione non è determinata dall’assonanza (per quanto suggestiva) fra il nome della corrente – che è dovuto al materiale che la identifica, il cemento a vista, in francese béton brut – e la “brutalità” espressa dal funzionario. I motivi saranno altri, come vedremo.
La villa in cui vive l’uomo si trova in via Colli della Farnesina 144, Roma, e viene costruita tra il 1968 e il 1969 su progetto di Francesco Berarducci (che poi vi abiterà per tutta la vita), architetto inizialmente vicino al neo empirismo scandinavo e poi rapito dall’uso del cemento armato che Le Corbusier aveva sperimentato con la sua Unità di abitazione marsigliese. Per questo complesso -– comprendente dieci alloggi, due per piano, con autorimessa, uffici e servizi collocati nel seminterrato – Berarducci adatta il proprio ideale di palazzina romana a una tipologia abitativa dove gli appartamenti vengono sistemati per fasce parallele.
Il punto di partenza della costruzione è la struttura in cemento armato, elemento espressivo primario e insostituibile. Tra i più fulgidi esempi romani di questa scuola, il Villino anticipa tendenze contemporanee nel suo anelito a integrarsi con il verde circostante (il parco di Monte Mario), utilizzando la natura quale fonte di risparmio energetico attraverso l’ombra e la ventilazione da essa garantite. Nel film viene prima mostrata la casa dell’amante del Dottore, Augusta Terzi/Florinda Bolkan.
È un caos “hippie capitolino”, secondo l’efficace definizione di Paolo Lavezzari, fatto di oggetti, libri sparsi ovunque, tende, specchi, decori murali, vetrate colorate, in cui, come dice il commissario “si respira un’aria di sesso, di piacere, morbosa, dannunziana”. Le lenzuola nere sotto cui i due fanno sesso sono un sudario, un presagio della morte della donna. L’interno dell’appartamento dell’ispettore si vede per la prima volta nel corso di un flashback in cui gli amanti si divertono a ricostruire scene del crimine raccontate dalla cronaca.
Il living è arioso – con una grande porta a vetri affacciata sul giardino e un lucidissimo parquet a pavimento – ed è punteggiato da elementi che riflettono il design di quegli anni: un tavolino basso di vetro con le gambe cilindriche e una poltrona bianca di pelle su base girevole mentre, discosto, si intravede un macchinario deputato all’esercizio fisico.
L’esterno della palazzina si vedrà poco più avanti, quando il poliziotto vi passa davanti in macchina: si nota immediatamente la sua facciata peculiare, con gli sbalzi che generano una serie di balconi dalle profondità diverse e con delle originali nicchie in aggetto.
Un’inquadratura dall’alto mostra l’uomo scendere dall’auto, ripreso attraverso un foro circolare nella struttura in cemento disegnato col duplice scopo di alleggerirne il carico e lasciare filtrare la luce. Il Dottore entra in casa e si distende sulla sua poltrona, circondato, quasi oppresso, dalle pareti in cemento e da quelle in paramano, il tipico mattone faccia a vista a spigolo vivo.
Alle spalle, una lampada a luce diretta lo illumina come fosse un sospettato costretto a rispondere alle domande degli inquirenti. Con grande intelligenza, lo scenografo Carlo Egidi allestisce il locale deputato agli interrogatori nella stazione di polizia come un luogo che allude alla casa del commissario: anche qui si ritrovano i pilastri in cemento armato e le pareti rivestite di mattoni a vista.
Il finale del capolavoro petriano si svolge interamente all’interno dell’opera di Berarducci; il protagonista vi si rinchiude dentro dichiarando espressamente: “Da questo momento sono a disposizione della giustizia. Quando vorrete interrogarmi mi troverete a casa”. Il questurino diventato burocrate si chiude nella sua stanza sognando di essere raggiunto da una delegazione di colleghi e superiori che lo attendono nel soggiorno.
Lo spazio è modificato dalla dimensione onirica, l’unico arredo in vista è la poltrona girevole. La macchina da presa si concentra sui primi piani di volti e nuche che nascondono l’ambiente rendendolo illeggibile. Volonté abbandona il living per riordinare i pensieri e, quando vi ritorna, la sala è ripresa da un angolo diametralmente opposto rispetto a quello mostrato fino a quel momento, suscitando una sensazione di spaesamento. Si nota un buffet sbucato dal nulla e un’illogica teca di vetro che contiene una serie di copricapi.
Quando si risveglia, il poliziotto viene effettivamente raggiunto da una schiera di eccellenze di cui non si conoscerà mai lo scopo. Il living è tornato riconoscibile, la scena finale è inquadrata dall’esterno, mostrando le veneziane che si chiudono a custodire un segreto di cui lo spettatore non sarà mai messo a parte. Una cesura che inverte e perverte il senso sotteso al Villino, descritto, in una bella intervista che il figlio di Berarducci, Carlo, a sua volta architetto, ha rilasciato a Vogue Italia, come “uno spazio che obbliga alla trasparenza, alla condivisione, dove nulla è celato, in cui è difficile nascondersi e non esistono disimpegni. Il soggiorno è uno spazio di connessione tra gli ambienti privati [...] Nessuna camera ha una porta, sono tutte comunicanti, divise solo da pannellature scorrevoli o porte a soffietto».
Una realizzazione, quella del padre, che rifletteva una visione ottimistica dell’abitare di matrice nordica, aperta e trasparente, priva di filtri e di separazioni con l’esterno. Un’utopia abitativa che l’assassino corrompe, come corrompe l’utopia stessa sottesa al brutalismo, che prevedeva la costruzione di case alla portata di tutti e in grado di durare nel tempo, così da contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Paesi prostrati dalla Grande Guerra. Un’utopia spenta dalla psicopatologia del Dottore, che la umilia e la dissacra, trasformandola in una putrida sentina capace di accogliere (e anche di preconizzare) tutto il male, tutta la degenerazione, tutti gli abusi a venire. Altro che assonanze.
Il film
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Drammatico - Italia 1970 - durata 114’
Regia: Elio Petri
Con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando
in streaming: su Now TV
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